Nel suo Il demone meschino (1905), Fedor Sologub offre una nuova variazione della figura del nichilista. Attraverso le vicissitudini del suo protagonista Peredonov, lo scrittore descrive un uomo di ineguagliabile bruttezza morale, preoccupato solo del suo avanzamento sociale. Se i nichilisti sono sempre stati trattati con severità dalla letteratura russa, fino al romanzo di Sologub era sempre stata riconosciuta loro una grande forza sovversiva e avevano un carattere straordinario che li rendeva eroi neri. Niente di tutto questo con Peredonov che è solo espressione di compiaciuta mediocrità e disprezzo generale per tutto ciò che è diverso da lui e lontano dal suo mondo.

La figura del nichilista è uno dei topoi della letteratura russa della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo. Turgenev fu il primo a ritrarre un nichilista in Padri e figli (1862) seguito da Leskov, prima che Dostoevskij introducesse definitivamente il personaggio nella grande storia della letteratura con I demoni. Colpisce anche vedere come ciascuno di questi tre scrittori abbia affrontato la questione del nichilismo da un angolo diverso, una differenza che riflette in realtà un’evoluzione nella mentalità degli stessi nichilisti. Pertanto se Bazarov era un nichilista scientifico e materialista, i personaggi di Leskov erano dei veri e propri banditi privi di ogni scrupolo mentre Stavrogin e Kirilov, due figure centrali de I demoni, danno al nichilismo una dimensione metafisica fino ad allora affrontata in modo troppo superficiale da Turgenev. Dostoevskij mostrò poi le implicazioni ultime dell’indifferenza al bene e al male e l’abisso che attendeva l’uomo che voleva sfidare Dio.

Nel libro di Fedor Sologub è la coda della cometa del nichilismo a brillare davanti ai nostri occhi. Il suo eroe, Peredonov, professore di una cittadina russa, carrierista, paranoico e assolutamente odioso, non ha più nulla a che vedere con il nichilismo strutturato e ideologico, né con il radicalismo. È invece un personaggio grottesco ai limiti della demenza e della perversione. La sua ambizione di diventare ispettore lo spinge a ricercare gli appoggi dei funzionari di grado più alto mentre coltiva una personalissima paranoia e si crede circondato da nemici che ostacolano la sua ascesa sociale. La sua compagna Varvara – una parente con cui intrattiene una relazione ambigua – sfrutta questa ossessione, facendogli credere che una principessa di Pietroburgo sia disposta a intercedere con chi di dovere a favore di Perodonov, purché regolarizzi la sua situazione con il matrimonio.

Una semplice trama per questo romanzo, definito da Mirskij “il più perfetto romanzo russo dopo Dostoevskij”, ambientato in un mondo provinciale bigotto e ipocrita, guidato dalle esigenze più misere, meschine appunto. Le esigenze di Peredonov lo portano ad adottare un atteggiamento sfuggente ma la sua “malvagità” è ancora parte di una certa tradizione di pensiero, dando vita a un personaggio profondamente antipatico che ha spinto il suo individualismo al limite del sopportabile ma senza mai lasciarsi coinvolgere in pericoli propriamente metafisici.  

L’autore

Peredonov non ha niente di sovversivo: possiede le opere di Pissarev, ma ciò non significa che abbia un’adesione dottrinale per il teorico del nichilismo; attacca simboli della cultura russa (Puškin nel caso specifico), solo per lasciarsi andare al costume antipatriottico tipico dei nichilisti; sembrerebbe che un tempo abbia adottato idee liberali, ma il suo carrierismo lo costringe a presentarle, di fronte a persone che potrebbero partecipare alla sua promozione sociale, come errori giovanil; preoccupato per la sua carriera e la sua reputazione, insiste per farsi vedere in chiesa per paura di essere additato dai suoi connazionali, perché un cittadino onesto deve rispettare la duplice autorità dello zar e del metropolita…e via enumerando, gli esempi sono numerosissimi!

Ma sarebbe scorretto ricondurre al protagonista l’unico elemento di interesse del romanzo. Amore, bellezza, oscenità, folli e perfino un delitto vengono mescolati in modo sapiente dalla penna di Fëdor Kuz’mič Teternikov (il vero nome dell’autore). Uno scrittore, all’epoca figura di spicco della mondanità letteraria pietroburghese, capace, in questo suo capolavoro, di aprire una finestra sul vuoto per mostrare come nulla si salvi e che la redenzione sia negata all’intera umanità.

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