La Germania ha vissuto nel corso del Novecento due grandi dittature. Ma se le vicende relative al periodo nazista, dal punto di vista cinematografico, sembrano esercitare un fascino non ancora interrotto (si veda il premio Oscar come miglior film straniero assegnato quest’anno a La zona d’interesse, con buona pace del duo Ceccherini e Ferilli), di minore appeal presso il pubblico mainstream sono le delizie del socialismo reale che i tedeschi dell’est hanno potuto assaporare durante il regime della DDR. Una significativa eccezione è costituita dal magnifico Le vite degli altri (Das Leben der Anderen, 2006), il primo lungometraggio del regista austro-tedesco Florian Maria Georg Christian Graf Henckel von Donnersmarck.
La vicenda è ambientata nella Berlino Est del 1984. Al capitano del Ministero per la Sicurezza di Stato (la famigerata Stasi) Gerd Wiesler viene affidato dai suoi superiori l’incarico di spiare il famoso scrittore Georg Dreyman. La colpa di questo intellettuale, ritenuto non pericoloso dal regime, è unicamente quella di essere l’amante dell’attrice Christa-Maria Sieland, di cui si è invaghito il potente ministro della cultura Bruno Hempf: quest’ultimo, che già costringe la donna ad andare a letto con lui, vuole eliminare il rivale per mantenere Christa-Maria a sua totale disposizione.
La storia prende una piega inattesa quando Wiesler, un solitario interamente dedito al lavoro, iniziando a spiare Dreyman e la compagna, comincia ad avvicinarsi all’arte e alla letteratura e a porsi domande pericolose per un funzionario come lui che vuole fare carriera. A seguito del suicidio del regista Albert Jerska, ostracizzato dal potere perché considerato “non organico”, Dreyman decide di denunciare l’alto numero di suicidi nella DDR in un articolo da pubblicare su un importante settimanale della Germania Federale: Wiesler anziché denunciarlo lo protegge, tentando di distogliere l’attenzione dai suoi superiori. Questa decisione comporta la fine della sua carriera. Dopo la caduta del muro, Dreyman scopre che veniva spiato e che deve a un anonimo funzionario la sua salvezza: dedica così per riconoscenza a HGW XX/7 (il nome in codice di Wiesler) il suo libro successivo Sonata per le persone buone che l’ex-capitano acquista dopo averlo notato in una vetrina.
Le vite degli altri offre numerosi spunti di interesse. Innanzitutto è la storia di una redenzione. Il protagonista è un bell’esemplare di figlio di buona donna, come capiamo già nella prima scena che lo vede impegnato a insegnare ai suoi studenti come condurre un interrogatorio e identificare una falsa testimonianza. È un vero cattivo (“i nemici del nostro stato sono arroganti, tenetene conto. Con loro ci vuole pazienza, una quarantina d’ore di pazienza”), cinico e freddo ma non per questo stolido. La sua intelligenza lo rende però permeabile ai dubbi sulla necessità di quello che sta facendo: una debolezza per un uomo della Stasi che inizia a vacillare entrando in contatto con gli stimoli intellettuali delle persone che spia, con l’incanto dell’arte e le suggestioni della letteratura.
Sì perché la redenzione di Wiesler passa proprio attraverso la bellezza. “Penso a ciò che ha detto Lenin sull’Appassionata di Beethoven: “non devo ascoltarla o non terminerò la rivoluzione”. Ma come fa chi ha ascoltato questa musica, ma veramente ascoltato, a rimanere cattivo?”, chiede Dreyman a Christa-Maria dopo aver eseguito al piano un brano in memoria dell’amico Jerska di cui gli avevano appena comunicato il suicidio? Wiesler è al suo posto, in ascolto, e i dubbi prendono sempre più consistenza.
Ma questa bellezza non potrebbe germogliare senza un animo pronto ad accoglierla. Nella scena che personalmente reputo la più commovente del film, di certo la più significativa, il funzionario incontra in un bar Christa-Maria che, vinte le resistenze del compagno, si sta recando ai periodici appuntamenti con il suo amante ministro. Il dialogo tra i due è intessuto di una tragica ironia: l’attrice può solo intuire chi è lo sconosciuto che ha di fronte, che sembra sapere tutto di lei e cerca di farla desistere dal recarsi all’appuntamento. “Lei è una persona buona”, gli dice salutandolo. Scopriremo poi che sarà tornata a casa: un momentaneo affrancamento che scatenerà la vendetta fatale del suo amante.
La storia di Wiesler è anche il riscatto di una vita per una vita. Il protagonista mette sul piatto della bilancia il suo destino in cambio della salvezza per Dreyman, a suggerire che la sorte di una spia e quella di uno scrittore non hanno lo stesso valore. Wiesler ha l’opportunità di un’azione individuale di cui è certo pagherà le conseguenze, ma non si sottrae perché sente di rispondere a un’esigenza di ordine morale più alta.
Tutto è perfettamente riuscito ne Le vite degli altri, a partire dalla definizione della psicologia dei personaggi. In particolare i funzionari del Governo non hanno niente di grandioso ma sono piuttosto dei burocrati tutti compresi nel loro ruolo. Il terrore che l’apparato della Stasi riusciva a instaurare nella DDR viene reso attraverso le quotidiane minacce (alla vicina di Dreyman viene intimato di non rivelare a nessuno di aver visto gli uomini del Ministero piazzare le cimici oppure suo figlio non avrebbe potuto continuare gli studi), i miserabili ricatti, gli occultamenti di regime. Niente di cruento ma non per questo meno efficace.
Menzione speciale per lo sfortunato Ulrich Mühe, l’attore che ha prestato il volto al capitano Gerd Wiesler. Interprete polivalente, capace di alternare il registro drammatico con quello comico, fu molto attivo nelle dimostrazioni di piazza precedenti alla riunificazione delle due Germanie. Interpretò spesso letture pubbliche del saggio di Walter Janka Schwierigkeiten mit der Wahrheit (Difficoltà con la realtà, 1989) prima che ne decadesse il divieto di pubblicazione in Germania Est e si spese in prima persona per favorire nei suoi connazionali una presa di coscienza critica del regime. Mühe era già gravemente malato quando Le vite degli altri venne premiato dall’Academy con il premio Oscar come miglior film straniero: pochi mesi dopo la cerimonia, morì per un tumore allo stomaco.
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