Il dottor Judd Stevens (Roger Moore), un rinomato psichiatra, è coinvolto nella morte dei suoi pazienti e colleghi in strane circostanze. Il primo della macabra lista, per esempio, viene accoltellato a morte dopo aver lasciato il suo studio. A indagare sono due poliziotti della squadra criminale. Il più alto in grado, il tenente McGreary (Rod Steiger), nutre un forte rancore nei confronti dello psichiatra che, in passato, grazie ad una sua testimonianza, aveva aiutato a scagionare un colpevole. Non manifesta alcuna comprensione: per lui il medico è necessariamente colpevole e il poliziotto, a caccia della sua preda, non nasconde di farlo sapere, arrivando addirittura a molestarlo in mille modi. Angeli, il suo compagno di squadra (Elliott Gould), non ha conti da regolare. Quindi tratta il caso in maniera molto più pacata, si mostra comprensivo, cercando di contrastare i metodi del collega, e affronta le indagini in modo completamente diverso.
Quando si scopre che l’ufficio dello psichiatra è stato scassinato e la sua segretaria selvaggiamente torturata e poi uccisa, Angeli si offre di aiutarlo più da vicino. McGreary, da parte sua, continua a svolgere la sua opera di disturbo e di denigrazione. Fino a quando non viene escluso dalle indagini…

Octopussy – Operazione piovra (Octopussy, 1983), di John Glen, è appena uscito sugli schermi di tutto il mondo. Roger Moore presto sarà libero dal contratto che lo lega al franchise di Bond, e accetta un ruolo che gli permette di modificare la sua immagine, alla ricerca di prospettive recitative un po’ più ampie. Poco prima di 007 – Bersaglio mobile (A View to a Kill, 1985), sempre di John Glen, il suo canto del cigno bondiano un po’ androgino, si riunisce con un veterano come il regista britannico Bryan Forbes con alcuni film interessanti al suo attivo, come Qualcuno da odiare (King Rata, 1965), La cassa sbagliata (The Wring Box, 1966), Passo falso (Deadfall, 1968), La fabbrica delle mogli (The Stepford Wives, 1975).
Da parte sua, Roger Moore aveva dimostrato in passato, e al di là del suo ruolo di 007, che poteva fare faville. Basti ricordare L’uomo che uccise se stesso (The Man Who Haunted Himself, 1970) dove, sotto la guida di Basil Dearden, interpreta il ruolo principale in un ottimo thriller fantasy, in cui Moore eccelle. Dearden sarà tra coloro che lo dirigerà nella fortunata serie TV (con Tony Curtis) The Persuaders (1979).

La Cannon di Menahem Golan e Yoram Globus produce a regime film d’azione di discontinua qualità, ma per un decennio Hollywood non può ignorarla. Producendo il progetto di Forbes, adattare l’omonimo romanzo di Sidney Sheldon, la Cannon asseconda la sua anima più tradizionale. Sullo schermo, il risultato di A faccia nuda (A Naked Face, 1984), di Bryan Forbes, è contrastante. In parte sembra che il regista intenda emulare gli esercizi di stile di Brian De Palma: Vestito per uccidere, Blow Out, Omicidio a luci rosse (girato contemporaneamente al film con Moore). Rispetto ai thriller “esagerati” di De Palma, ed è qui che sta il problema, The Naked Face potrebbe apparire piuttosto noioso, privo di carattere, follia e perfino originalità, per montare su pellicola semplicemente una storia, certamente intrigante e avvincente, ma priva di vivacità sotto molti aspetti. Una prestazione professionale ma anche molto ordinaria, puramente funzionale, arricchita però da alcuni sprazzi di violenza o ferocia (la parte relativa alla segretaria massacrata è piuttosto cruda, e il finale, senza rivelare nulla, offre allo spettatore nuovi orizzonti funebri), e da un cast indubbiamente rodato.

Anche la sceneggiatura è ondivaga: a volte intelligente e sorprendente, in altri momenti improbabile.
C’è una coppia di tutori dell’ordine che giocano al “poliziotto buono/poliziotto cattivo”, fin dalla prima scena in cui consegnano nelle mani del sospettato – Roger Moore – l’impermeabile insanguinato prestato dal dottor Stevens al suo paziente, prima che quest’ultimo venisse ucciso. In altri momenti, la tolleranza, perfino l’eccessiva pazienza di una persona palesemente non colpevole, chiaramente vittima di un complotto, di fronte alle continue angherie di un poliziotto dai metodi “borderline”, rasenta il ridicolo. Con Moore, tra l’altro, che sembra a prima vista poco interessato al segreto professionale e rivela subito troppi dettagli personali sul suo ex paziente, manifestando una scorrettezza evidente.
Sono proprio queste elementari inverosimiglianze a svelare troppo in anticipo il meccanismo giallo.
Forbes adotta uno stile piatto, mentre le false piste (in scene a volte brevissime) danno troppe indicazioni.

In pratica sono gli attori a dominare la materia, riuscendo a dare spessore a quello che sembra un thriller lineare e di routine. Se può sembrare che Rod Steiger abbia oltrepassato il limite dell’istrionismo, concependo una composizione da poliziotto corrotto, lo spettatore rivede il suo giudizio man mano che la trama procede. Tuttavia Steiger è troppo sopra le righe.
Roger Moore, senza eguagliare la prestazione nel già citato L’uomo che uccise se stesso, è assolutamente credibile come psicologo funestato dalla recente morte della moglie e dalla macchinazione di cui è vittima.
Tuttavia chi finisce per rubare la scena, nonostante una parte non completamente scritta, è Elliott Gould, che ricorda un po’ il poliziotto interpretato in Mani sporche sulla città (Busting, 1974), di Peter Hyams. È assolutamente perfetto, e non sarà il tritarifiuti a contraddirlo, in una delle scene più sorprendenti di questo film che avrebbe potuto aspirare ad un livello superiore, pur rimanendo comunque un onesto thriller.

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