Nella zona rurale di Locust Hill, il vecchio agricoltore Adam (Ernst Borgnine), amareggiato dalla morte di sua figlia con la quale era in disaccordo, tenta di allevare sua nipote secondo i suoi principi di redenzione religiosa. Tornando dalla funzione religiosa domenicale viene informato, dalla polizia locale, che tre pericolosi delinquenti in fuga dopo una rapina sono in agguato nella zona. E, infatti, il terzetto assassini si presentano alla sua porta, ma lui fredda il primo e neutralizza gli altri due…
Nel 1974, il governo canadese aveva istituito un sistema di protezione fiscale che consentiva ai produttori americani di venire e investire denaro a livello locale beneficiando al tempo stesso di innegabili vantaggi fiscali. Questo provvedimento, durato poco meno di dieci anni, ha permesso lo sviluppo dell’industria cinematografica canadese e l’ascesa di una nuova generazione di produttori e registi, il più famoso dei quali rimane senza David Cronenberg. Tuttavia, non è l’unico. Un ricordo lo merita il regista-attore John Trent (prematuramente scomparso) che all’epoca unì le forze con il produttore David M. Perlmutter per fondare la società di produzione Quadrant Films. La giustizia privata di un cittadino onesto (Sunday in the Country, 1974) costituisce uno dei loro primi progetti nella speranza di ottenere un grande successo con un investimento iniziale piuttosto irrisorio. Si ispirarono, almeno nella premessa iniziale, a Cane di paglia (Straw Dogs, 1971), di Sam Peckinpah, ma anche alle atmosfere nauseabonde de L’ultima casa a sinistra (The Last House on the Left, 1972), di Wes Craven, per filmare un’invasione domestica nel cuore della campagna canadese – che potrebbe anche passare per quella degli Stati Uniti.
Ma se il lungometraggio rientra a pieno titolo in un cinema “redneck” (collo rosso, contadino), all’epoca piuttosto battuto – si va da Un tranquillo weekend di paura (Deliverance, 1972), di John Boorman, a Non aprite quella porta (Texas Chainsaw Massacre, 1974), di Tobe Hooper, passando per decine di “Z Movie – Sunday in the Country riesce a trovare la sua originalità attraverso la manipolazione inaspettata di una trama molto ambigua. John Trent si prende innanzitutto il suo tempo per presentarci il personaggio principale del vecchio contadino interpretato con grande sottigliezza da Ernest Borgnine, al meglio della sua forma. Vivendo con la nipote nella sua fattoria isolata, il vecchio amareggiato professa i buoni sentimenti, va in chiesa ogni domenica (il suo nome è Adam) e inveisce contro la decadenza della società moderna e la corruzione delle élite. Una sorta di nonno scontroso, che raffigura una certa America tradizionalista come potremmo scoprirla nei western. La Bibbia in una mano, La pistola nell’altra.
Allo stesso tempo, il regista si sofferma sulla fuga omicida di tre delinquenti che hanno appena commesso una rapina sanguinosa. Tra questi, lo squilibrato interpretato da Michael J. Pollard è estremamente preoccupante con le sue tendenze psicotiche. Lo spettatore non ci mette molto a immaginare cosa accadrà in seguito a quella banale invasione domestica. Tuttavia – e questa è la grande forza del film – la sceneggiatura devia abbastanza rapidamente dal consueto per offrire allo spettatore un’esperienza diversa.
Mentre la minaccia sembrava provenire dai tre intrusi armati e pericolosi, la vicenda sceneggiatura prende una piega inaspettata. E se lo psicopatico non fosse solo dalla parte dei gangster, ma fosse annidato anche nel cuore della possibile vittima? Diventando sempre più inquietante, man mano che il film avanza, il vecchio brontolone si rivela in realtà un’implacabile macchina per uccidere. Il vigilante non solo regola i conti con i delinquenti, ma sembra trarne un piacere sadico che lo fa precipitare nella stessa psicopatologia di quelli a cui da cui si difende. La forza della trama è quindi quella di invertire la scala dei valori e di mettere su un piano di parità i deliqnuenti e chi si professa dalla parte della ragione.
La giustizia privata di un cittadino onesto è quindi una dura critica alla prassi della rappresaglia. È anche uno studio piuttosto fine e ricco di sfumature sull’involuzione di un individuo considerato normale ed equilibrato verso una forma di violenza folle e perversa. Mai banale, il film soffre indubbiamente di una certa povertà produttiva, ma ha il pregio di lasciare che gli attori si esprimano appieno. Senza dubbio non eccessivo come molte produzioni dell’epoca, il film resta comunque sorprendente per la sua atmosfera contorta che preferisce esprimere la suggestione e le sfumature allo spettacolare.
Inutile dire che il film uscì in sordina sia in Canada che negli Stati Uniti. E che in Europa non se lo filò nessuno (nemmeno i francesi).
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