Dopo aver assistito a un delitto della mafia a Houston, Travis Knight (Harley Cross), nove anni, e i suoi genitori vengono messi sotto protezione testimoni in una piccola fattoria dell’Oklahoma. Con la complicità di un agente dell’FBI, due sicari si presentano e massacrano gli agenti a protezione e i genitori di Travis prima di tornare a Houston per consegnare il bambino ai capi mafia. Cohen (Roy Scheider), il più vecchio dei due e con un apparecchio acustico, è cinico riguardo al suo lavoro. Consapevole di essere sacrificabile sa che i “ragazzi” come lui possono essere colpiti in qualsiasi momento, ma è un professionista ed esegue ciò per cui è pagato. Ha sempre lavorato in solitudine, ed è infastidito dal fatto che i capi gli hanno affiancato un partner per svolgere questo lavoro: il massiccio, giovane, sadico e testardo Tate (Adam Baldwin), che vuole solo sparare in testa a Travis e farla finita. A Cohen non piace Tate e il sentimento è ricambiato. Il perspicace Travis se ne accorge e inizia a mettere i due l’uno contro l’altro prima di formare un’alleanza provvisoria con Cohen quando entrambi capiscono che Tate li ucciderà alla prima occasione. Il lavoro si complica quando un notiziario radiofonico rivela che il padre di Travis (Cooper Huckabee) è riuscito a sopravvivere alle ferite da arma da fuoco, fornendo una descrizione della coppia di killer alla polizia: forse i capi si sono resi conto che Cohen ha perso colpi a causa dell’età che avanza, e ora stanno braccando la coppia nel viaggio dall’Oklahoma a Houston…
Scritto e diretto da Eric Red – lo sceneggiatore di The Hitcher – La lunga strada della paura (The Hitcher, 1989), di Mark Harmon, e di Il buio si avvicina (Near Dark, 1987), e Blue Steel – Bersaglio mortale (Blue Steel, 1989), entrambi di Kathryn Bigelow (1989) – Le strade della paura (Cohen and Tate, 1988) è un thriller estremamente originale, che ricorda un po’ Vendetta (The Hit, 1984) di Stephen Frears. Il film è un mix tra road movie e opera a porte chiuse, ambientato principalmente nell’abitacolo di un’auto in marcia. I due “sicari” non si piacciono e l’ostaggio ne approfitterà per metterli l’uno contro l’altro, fino all’esplosione finale. Cohen and Tate è breve, compatto, senza abbellimenti superflui. La tensione non si allenta mai, grazie in gran parte a Scheider in uno dei suoi ruoli migliori. Con la sua sordità, il suo viso tagliente e devastato, crea un personaggio spaventoso ma dai risvolti umani. Riesce ad attirare simpatia, nonostante chi è e cosa fa. Di fronte a lui, Baldwin è molto bravo nel rappresentare un imbecille sanguinario, che si trasforma alla fine in una sorta di mostro fuggito da un incubo. Un tandem di attori davvero efficace, completato dal giovane Cross nel ruolo complesso e potenzialmente affascinante dell’irritante rompiscatole in pantaloni corti. Nonostante alcuni piccoli difetti, un budget visibilmente esiguo (qualche inquadratura sfocata di troppo tradisce la mancanza di risorse), Le strade della paura è un “B movie” sorprendente e intelligente.
Dal titolo originale, che ricorda le commedie poliziesche di fine anni ’80, Cohen and Tate fu praticamente abbandonato dal produttore Hemdale, che fece circolare in sordina poche copie della pellicola prima di farlo apparire silenziosamente sugli scaffali dei noleggiatori di videocassette. Debutto registico di Eric Red, ispirato al celebre racconto di O. Henry “Il riscatto di Capo Rosso” (1907), per un film sinistro che evoca un disagio palpabile descrivendo autostrade buie e percorsi secondari nel deserto a notte fonda. Le strade della paura fa un uso eccellente del colore, in particolare del ricorrente bagliore rosso delle luci posteriori dei veicoli sui volti dei personaggi, conferendo loro un’atmosfera effettivamente lunare. Come dicevamo, rapidamente dimenticato dopo la sua uscita iniziale, il film si è sorprendentemente riscattato come opera di culto.
Innegabilmente coinvolgente, quindi, ma Cohen and Tate non è appunto esente da alcuni difetti. Pur data per assodata la sospensione dell’incredulità, la trama è talvolta inverosimile. Per esempio, all’inizio, quando Travis riesce a liberarsi brevemente e finisce sotto la protezione di un poliziotto stradale (Frank Bates), ha senso che Cohen, apparentemente il più freddo e il più equilibrato dei due assassini, si affianchi dietro l’autopattuglia per sparare alla testa de poliziotto, costringendo Travis a guidare il veicolo in corsa dal sedile del passeggero? Non deve essere consegnato vivo? Evidente la difficoltà nel rendere mossa una trama che rischia di annoiare lo spettatore. Così come non è plausibile Tate che insegue Travis mentre attraversa un’autostrada trafficatissima in entrambe le direzioni, mentre solleva un fucile e nessuno sembra accorgersene.
D’altro canto, la regia elegante e il lavoro dei tre protagonisti riescono a salvare la sceneggiatura dalle sue zone d’ombra. Il grande Roy Scheider offre una delle sue migliori interpretazioni in uno dei suoi ultimi ruoli da protagonista sul grande schermo prima di “invecchiare” in ruoli secondari, TV e direct-to-video. Il suo Cohen è un personaggio affascinante: Red concepisce Cohen come un gangster con un “codice samurai” e per delinearlo Scheider si impegna completamente. Verso la fine del film, il freddo e inflessibile Cohen diventa temporaneamente frenetico e indifeso quando perde il suo apparecchio acustico, ed è un’idea di Scheider quella di concepire la protesi come qualcosa di più di un semplice supporto visivo. Adam Baldwin, soprattutto conosciuto all’epoca per i ruoli in La mia guardia del corpo (My Bodyguard, 1980), di Tony Bill, e Full Metal Jacket (id., 1987), di Stanley Kubrick, regge il confronto col suo compare e i due fanno un ottimo lavoro dandosi reciprocamente sui nervi. Ma è Cross il vero centro emotivo del film e la sua interpretazione è credibile per quanto esterni una saggezza superiore alla sua età.
Di Eric Red si sa che ha avuto una vita travagliata, non riuscendo realmente a ingranare nel mondo del cinema. Anni di lotta contro problemi finanziari e demoni personali culminarono in un bizzarro e tragico incidente automobilistico, che poteva passare per un tentativo di suicidio, che causò la morte di due passanti: Red scese dal suo veicolo e si tagliò la gola con una scheggia di vetro (senza uccidersi). Questo tragico incidente ha sostanzialmente fatto deragliare la sua carriera cinematografica.
Comunque la si voglia vedere, e con tutti i suoi errori, Le strade della paura è un classico da scoprire che mette in mostra una grande interpretazione di Roy Scheider.
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