In un prologo di qualche riga, un vecchio spazzino introduce quello che sarà “il suo rapporto”. Le pagine successive si aprono con la descrizione del vagare di una lepre, che dai campi sembra indirizzata verso a un preciso appuntamento: attraverso i suoi occhi assistiamo a un drammatico e fatale scontro tra due uomini. Senza soluzione di continuità, la narrazione introduce il protagonista del racconto, la cui vita viene sconvolta da un episodio in apparenza insignificante. Camminando per strada si accorge di essere osservato da uno sconosciuto e l’ossessione per quello sguardo, per rintracciare l’uomo così attentamente rivolto a lui, lo porteranno a lasciare la propria casa e a dilapidare la propria fortuna in un peregrinare lungo oceani e continenti, attraverso guerre e povertà, che lo condurrà a vivere in una stanza insieme a tre netturbini violenti e sempre ubriachi…

Un ritratto dell’autore

Il racconto La lepre (Der Hase) è stato pubblicato nel 1922 dallo scrittore boemo Melchior Vischer. Giornalista, autore di teatro ammirato tra gli altri da Alfred Döblin, Vischer è uno degli esponenti di quel cruogiolo culturale mitteleuropeo attraversato da rivolgimenti epocali come la Prima Guerra Mondiale, la conseguente fine degli Imperi Centrali e il successivo affermarsi dei fascismi europei. Come molti intellettuali suoi contemporanei si trasferisce nel 1929 a Berlino, che si afferma negli anni di Weimar come una delle capitali del mondo culturale, dove resta fino alla morte, avvenuta nel 1975. Nemmeno la paura durante il periodo nazionalsocialista per il destino della moglie di origini ebraiche (l’attrice ceca Eva Segaljewitsch) e l’estrema indigenza del dopoguerra quando pubblico e critica gli voltarono le spalle lo spinsero a lasciare la città.

Circolarità e magia potrebbero essere a buon diritto indicate come le parole chiave di questo racconto, disponibile nel catalogo liberilibri, che esercitò la sua forza di seduzione su Hans Blumemberg e Franz Kafka (in appendice all’edizione italiana si trova la lettera che quest’ultimo inviò a Vischer, che aveva fatto pervenire all’autore de Il processo una copia della sua opera). Un viaggio allucinante e stregato che ruota intorno all’ossessione dello sguardo, fil rouge di tanta narrativa di quegli anni, da La signorina Else Doppio sogno di Schnitzlerfino a Le braci dell’ungherese Márai, in particolare di quello di uno sconosciuto che trasmette per antonomasia l’odio.

Lo stile di questo breve racconto – circa una sessantina di pagina – che non manca di simbolismo e allusioni fiabesche che in alcuni tratti sembrano evocare parabole evangeliche o echi da Zarathustra niciano, è riconducibile a quello della Neue Sachlichkeit o Nuova Oggettività. Questa corrente artistica e letteraria sperimentale, molto vicina all’espressionismo, “si pone come obiettivo precipuo quello di rappresentare la sofferenza umana “oggettivamente”, ovvero con un distacco meditato, da cui dovrebbe scaturire una maggiore forza di denuncia sociale e di condanna morale. Tale distacco rende i personaggi dei racconti e dei drammi simili a marionette, apparentemente privi d’anima, eppure sofferenti”1: come sia possibile questa contraddizione è uno degli enigmi che solo la grande letteratura consente di vivere. Leggere La lepre dimostra come ciò sia possibile!


1 Anna Li Vigni, Ossessione di uno sguardo in Melchior Vischer, La lepre, liberilibri, Macerata, 2007 – pag. XVI

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