Al “Checkpoint Charlie”, l’agente dei servizi segreti britannici Alec Leamas (Richard Burton) assiste impotente alla morte di uno dei suoi agenti di ritorno dall’Est. Viene richiamato a Londra per organizzare un’operazione di ritorsione. Deve infiltrarsi nel controspionaggio della Germania dell’Est per influenzare l’agente Fiedler (Oskar Werner) e costringerlo a eliminare il suo stesso leader, Hans-Dieter Mundt (Peter van Eyck). Inventa una nuova vita per farsi individuare dagli agenti orientali e far loro credere che sia un potenziale disertore. Così facendo incontra Nancy (Claire Bloom) e la seduce, coinvolgendola suo malgrado in questa pericolosa operazione…

La “Guerra Fredda” e poi l’edificazione del Muro di Berlino hanno ispirato largamente il cinema di spionaggio, dal dopoguerra alla fine degli anni ’80. All’interno di questo “genere” e contesto comune, però, troviamo una grande diversità di opere: dall’intrattenimento rappresentato dalla saga di 007-James Bond (e i suoi epigoni) – protagonista carismatico e sequenze spettacolari – , a opere più austere che utilizzano l’atmosfera travagliata del periodo per studiare l’ambivalenza dei personaggi e la complessità della situazione geopolitica. Nel romanzo di spionaggio, l’opera di John Le Carré illustra questa visione, e gli adattamenti dei suoi romanzi hanno fornito al cinema la materia per film particolarmente cupi, come il sottovalutato Chiamata per il morto (The Deadly Affair, 1966) o il più recente e affascinante La talpa (Tinker, Tailor, Soldier, Spy, 2011), di Tomas Alfredson.

Martin Ritt è stato il primo a realizzare un adattamento cinematografico dell’autore, producendo e dirigendo La spia che venne dal freddo (The Spy Who Came in from the Cold, 1965) un anno dopo la pubblicazione del romanzo di Le Carré. Se il cinema di Martin Ritt è stato riscoperto dagli appassionati negli ultimi anni, la sua immagine all’epoca era molto più oscura (memorabile l’assurda stroncatura del cineasta da parte di Tavernier e Coursodon 30 anni di cinema americano) nonostante avesse già diretto opere come La lunga estate calda (The Long, Hot Summer, 1958), L’urlo e la furia (The Sound and the Fury, 1959), Paris Blues (id., 1961), Hud il selvaggio (Hud, 1963), L’oltraggio (The Outrage, 1964), evidenziando il suo umanesimo e la sua attenzione per i personaggi comuni che ritroviamo in La spia che venne dal freddo.



Il film segue l’azione di Alec Leamas, una spia richiamata da Berlino a Londra per essere il fulcro di un’infiltrazione di controspionaggio della Germania dell’Est. Non è un eroe, né un uomo affascinato dalla sua missione. Al contrario, ci viene presentato come un lavoratore qualunque, che applica metodi ben definiti che gli permettono di farsi avvicinare dal campo avversario, senza necessariamente padroneggiare tutti i dettagli della missione affidatagli dai suoi capi. È un impiegato e un uomo comune. Ritt e il suo sceneggiatore Paul Dehn – un autore eclettico che aveva scritto Agente 007 – Missione Goldfinger (Goldfinger, 1964, di Guy Hamilton, e che avrebbe poi contribuito alla sceneggiatura di diversi film della serie Il pianeta delle scimmie (Planet of the Apes, 1968/73); ma anche l’eccellente Assassinio sull’Orient Express (Murder on the Orient Express, 1974), di Sidney Lumet -, non forniscono mai dettagli sulla vita di Leamas. Non si vede la sua casa, né si coglie la sua vita quotidiana. A caratterizzarlo è solo il suo lavoro, che permette facilmente allo spettatore di identificarsi col personaggio, non presentando caratteristiche straordinarie (una modalità costante nell’opera di Ritt).

La spia è demistificata, è un semplice professionista che esegue gli ordini del suo capo. Leamas è il filo conduttore assoluto del film, è presente in ogni scena, ad eccezione di due brevissime sequenze nell’appartamento di Nancy. Quindi, anche se la trama è complessa, lo spettatore la vede da un punto di vista unico, e quando manca l’informazione, manca anche quella su Leamas, che il film segue costantemente. Lo spettatore è quindi posto alla pari del personaggio principale nel suo livello di comprensione della trama e non può mai sentirsi perso nonostante l’opacità di certe situazioni. Una scelta narrativa perfetta per non frustrare mai lo spettatore, pur non cedendo a una semplificazione della situazione che farebbe perdere profondità e complessità alla storia.

Fino alle ultime sequenze del film non si conosce la realtà della situazione, proprio come il personaggio principale, che agisce alla cieca. Leamas è solo un ingranaggio delle tensioni geopolitiche che agitavano l’Europa e il mondo negli anni Sessanta. L’inquietudine e la suspense sono solo più forti e, per estensione, la realtà su cui si basa la vicenda è tanto più misteriosa e quindi preoccupante. Come individuo (e cittadino), lo spettatore non ha accesso alle forze e alle questioni che governano il suo ambiente, non più di Leamas che si poteva immaginare essere il più vicino al cuore del problema.

La spia che venne dal freddo è una delle storie più avvincenti del suo genere, pur essendo quasi priva di azione, tranne che nella prima e nell’ultima sequenza. Si potrebbe quasi definire un film deludente rispetto alle aspettative che uno spettacolo di spionaggio tradizionale può generare. La storia è particolarmente austera, e questa sensazione è rafforzata dall’atmosfera visiva del film imposta dal sublime look “grigio” del geniale direttore della fotografia Oswald Morris. Tuttavia, grazie al forte punto di vista scelto da Ritt e alla qualità dei dialoghi, è impossibile annoiarsi guardando La spia che venne dal freddo. Al contrario, è proprio il fatto che la soluzione non possa venire dall’azione e dalla forza a rafforzare l’aspetto inquietante e affascinante della pellicola. Meccanicamente le sequenze di violenza diventano ovviamente più intense a causa della loro rarità. Ciò è particolarmente vero per la scena finale, potente, toccante e indimenticabile.

Il successo di un film basato su tali scelte dipende necessariamente dalla qualità dei suoi interpreti. Con il personaggio di Leamas, Richard Burton ritrova uno dei ruoli più intensi della sua ricca carriera. Pur minimizzando, fa aderire il suo personaggio al grigiore del film e lo rende un vero e proprio agente di spionaggio che, come spiega durante in uno dei suoi dialoghi con Fiedler, non agisce con la passione del patriottismo ma come un semplice professionista. Una tenuta stilistica resa possibile dal formidabile carisma di Burton, che legittima naturalmente agli occhi dello spettatore la competenza di Leamas nella sua attività di spionaggio. Contrapposti al protagonista una serie di comprimari eccellenti, in grado di tenergli testa nei lunghi dialoghi. Da sottolineare la presenza di Oscar Werner, fantastico nel ruolo del “piccolo ebreo” Fiedler. Gli scontri tra lui e Burton sono un picco di finezza e intelligenza. Si coglie in ogni momento la manipolazione ricercata dai due personaggi per raggiungere i loro fini. Claire Bloom offre alcuni lampi di purezza – come un soffio essenziale in un film così opprimente – nel ruolo di Nancy, che Leamas seduce durante lo stratagemma che escogita per infiltrarsi nel controspionaggio della Germania dell’Est. La donna incarna l’unico personaggio che non tradisce in questo mondo di dissimulazione, e sarà ovviamente quello che soffrirà di più, illustrando perfettamente un contesto in cui l’idealismo non ha patria. Nei ruoli secondari, Cyril Cusack nei panni del superiore di Leamas, meravigliosamente intelligente e provocatorio; così come Peter Van Eyck, imponente nel ruolo del feroce Mundt, bersaglio dell’operazione. Ma non passa inosservata la presenza di Bernard Lee, in un ruolo più subordinato rispetto a quello interpretato nella serie di James Bond dove incarna il capo “M”. Presenza quasi autoironica, a dimostrazione del vero obiettivo di La spia che venne fredda, descrivere lo spionaggio in tonalità minore, tra ambiguità e dissimulazione piuttosto che spettacolarizzazione.

Film dalla trama complessa, La spia che venne dal freddo dipinge il mondo della “Guerra Fredda” così com’è, minaccioso e pronto a precipitare nel caos a causa delle oscure azioni decise da uomini nell’ombra. Uno dei più grandi film di spionaggio, probabilmente ancora oggi il più grande nel suo genere.

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