In un’America del futuro, New York diventa New Rome, una città il cui avvenire ossessiona due uomini dalle forti personalità. César Catilina (Adam Driver), un noto architetto progressista che ha il potere di fermare il tempo, e Franklyn Cicero (Giancarlo Esposito), il sindaco ultra-conservatore che pensa solo alla sua rielezione ed è molto attaccato a uno status quo regressivo che protegge l’avidità, i privilegi e le milizie private. Il primo mira a inventare la città del futuro. Il secondo si concentra sulla vita quotidiana dei suoi cittadini. L’artista contro il politico. Il sogno contro la realtà. Un dibattito che ci verrà ripetuto per tutto il film da attori a ruota libera su un set posticcio. La figlia del sindaco, Julia (Nathalie Emmanuel), innamorata di César, dovrà scegliere tra i due opposti, una decisione che riflette quella che faranno gli elettori tra due ideologie e scelte sociali.

Oltre tre ore ridotte a due ore e diciotto minuti, che durano un’eternità. Questa la dura realtà.
Ci sono voluti quattro decenni per realizzare Megalopolis, e quando le riprese sono partite nel 2020 il Covid le ha interrotte. Negli Stati Uniti nessuno studio primario l’ha voluto produrre o distribuire, e l’85enne Coppola ha speso centoventi milioni di dollari del suo patrimonio personale, in massima parte ottenuti con la vendita di parte dei suoi vigneti californiani.

Ne é venuto fuori l’affresco superato di una Gotham costruita con una qualità approssimativa, piena di effetti scenici e di effetti speciali ritoccati. Coppola non è più il regista de Il Padrino e di Apocalipse Now (e neanche de La conversazione). Non riesce mai a coinvolgere lo spettatore.
Perché in quarant’anni ne sono accadute di cose e la metafora di un’America in cui i mercanti hanno preso il sopravvento sugli idealisti (di cui Coppola si considera parte) proprio non sorprende. Il risultato è un approccio filosofico da rivendita ferroviaria.
Paradossalmente sembra che Coppola sia tornato alle origini, quando il suo mentore era Roger Corman (venuto a mancare da poco e che, gusto personale, riteniamo di culto in quanto mito produttivo piuttosto che per le sue qualità di regista).

Insomma: estetica anni Settanta con Francis Ford Coppola che prende la tangente e va a ruota libera in un film “folle”, dove le vertiginose ambizioni della sceneggiatura contrastano con i mezzi limitati di una “serie B”. Il regista non prende sul serio il suo soggetto, pur rivendicando la profondità dei temi trattati, sembra che stia girando un film per ragazzi. La sua visione psichedelica, appunto ascrivibile agli anni ’70, il tema che oppone libertari e conservatori, con l’amore che interferisce tra i due, è molto “teen”. Per non parlare di una messa in scena dagli effetti eccessivi, come se Coppola stesse parodiando un film ideale che avrebbe sognato di realizzare proprio all’inizio della sua carriera, negli anni ’60. Il regista si diverte, ma perde il suo pubblico, perché il progetto è megalomane, nonostante tratti temi universali, ideologici, politici, sociali. Eppure, tra i tanti difetti di Megalopolis, rimane l’eco del grande Coppola, con la sua raffinatezza formale nel taglio di ogni inquadratura.

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