Nel 2016 esce La Vegetariana della scrittrice sudcoreana Han Kang, libro di indubbio successo internazionale nonché vincitore del Man Booker International Prize. Il testo racconta di Yeong-hye, donna ordinaria, persino anonima, che a un certo punto della sua vita decide di smettere dapprima di mangiare carne e, in seguito, di nutrirsi in generale con alimenti che reputa derivati da un atto di violenza. A segnare il cambiamento di Yeong-hye sarebbe un incubo, in cui immagini legate al sangue, al macello e alla violenza si mescolano in una commistione di corpi dove umano e non-umano si distinguono appena.
Il testo si divide in tre parti. Nella prima, la voce narrante è rappresentata dal marito di Yeong-hye, personaggio mediocre, quasi squallido, che reagisce alla novità della moglie dapprima con violenza e in seguito ripudiandola. Nella seconda, il punto di vista passa al cognato della vegetariana, il marito della sorella, un artista annoiato ed egocentrico che, al contrario, ne subisce un fascino ossessivo. Questi riuscirà infine a combinare degli incontri amorosi con Yeong-hye, provocandone l’assenso per il tramite di una serie di pitture floreali che le dipingerà sul corpo, come viatico di accesso al suo eros. Infine, nell’ultima parte, la protagonista è la sorella di Yeong-hye. Questa, dopo aver lasciato il marito fedifrago, si prende cura della vegetariana, deperita fino allo stremo e rinchiusa in un ospedale, ove è sottoposta a metodi brutali di alimentazione forzata. La sorella, apparentemente afflitta dall’insensatezza della scelta di Yeong-hye, finisce altresì per sentirsene conturbata. Il libro si chiude interlocutorio, lasciando il lettore nel suggerimento di una solidarietà profonda nei confronti delle scelte radicali, persino suicidarie, della vegetariana.
Il testo si offre a diverse letture e, forse, in questa apertura consiste parte del suo successo. Inizialmente, si potrebbe individuare nel rifiuto di Yeong-hye una forma di lotta radicale e disperata al patriarcato. Infatti, nel libro, le figure maschili più vicine alla protagonista, quali il padre e il marito, rappresentano quelle di più rigido contrasto alla sua scelta inusuale, occorrendo nel caso alla violenza fisica e verbale nel tentativo di farla desistere dai propri intenti. Ugualmente, la sorella di Yeong-hye è dipinta come un personaggio assoggettato a un destino di supina prevaricazione quotidiana, da parte del consorte. Questa tesi, ampiamente avallata dalle decine di recensioni che La vegetariana ha ricevuto, trova ancor più sostanza nel fatto che si tratti di un romanzo coreano. È noto, infatti, che un tradizionalismo nelle relazioni intrafamiliari e inter-generi conservi una certa dose di pervicacia anche al fronte delle spinte moderniste che, evidentemente, la Sud Corea vive da diversi decenni. Come del resto è il caso per molti altri contesti extra asiatici e nostrani.
La lettura di genere include, più estesamente, una vis contestataria ad una serie di altre dialettiche di cui il patriarcato maschilista è solo una delle manifestazioni. Si tratta, più specificatamente, di una critica al pensiero binario. Uomini e donne, ma anche animali umani e non-umani, umani e ambiente, bianchi e neri, generi binari e generi non binari, modernità e tradizione, ecc, rappresentano i due capi di una retorica modernista e razionalista, fondata sulla soggezione di uno dei due termini nei confronti dell’altro. In questo senso, ibridandosi in una creatura indefinita nel corpo e nella mente, Yeong-hye rappresenta un contraltare perfetto dell’ordine costituito.
Se è tuttavia vero, da un lato, che la lettura critica circa le dialettiche duali trova certamente fondamento ne La Vegetariana, soprattutto (forse) agli occhi del pubblico occidentale, è altresì vero che il suo radicamento geografico ne inspessisce gli immaginari. Come raccontato dalla stessa Han Kang, nella cultura Sudcoreana le narrazioni e le poetiche riferite alla simbiosi tra uomini e piante sono diffuse e antiche. Questo potrebbe suggerirci che la lettura del libro nei termini di una critica al binarismo razionalista, possa essere riduttiva. La Vegetariana non è un romanzo che parla di una vegetariana né (solamente) di una donna in lotta col patriarcato, ma di una persona che desidera diventare una pianta, sospinta da un’esigenza esistenziale assoluta di privarsi di cibi che presuppongono la sopraffazione di una creatura sull’altra. L’autrice esprime la volontà di portare una riflessione sulla natura umana, su quella delle relazioni e sul ruolo della violenza all’interno di esse. In un’intervista rilasciata nel 2017 alla Scuola Holden, Han Kang dice di aver voluto, con questo romanzo, porre una domanda, di matrice più prettamente filosofica che sociologica, vale a dire:
Can we live in this word without harming others?
[Possiamo vivere su questa terra senza procurare danno ad altri?]
E ancora, che ruolo assume la diversità, o meglio la mostruosità, nell’ordine delle relazioni normali? Nel libro, l’autrice presta molta attenzione alla descrizione del deperimento fisico di Yeong-hye, e alla narrazione di un corpo che, attraverso il dimagrimento, perde dapprima identità di genere e, in seguito, identità umana. In questo scandalo insopportabile, odioso alla famiglia della protagonista così come al resto della società, sembrerebbe consistere una capacità latente di contraddizione dell’ordine. Un’opposizione per sottrazione, per sfocatura di significati.
Così si esprime Yeong-hye nelle battute iniziali del libro:
Una ripugnanza intollerabile, così a lungo soffocata. Una ripugnanza che ho sempre cercato di mascherare con l’affetto. Cominciò a sembrarmi tutto insolito, quasi mi fossi accostata al rovescio di qualcosa. Chiusa dietro una porta senza maniglia. Forse solo ora mi trovo faccia a faccia con qualcosa che è sempre stato qui.
In questo breve passaggio, la protagonista confessa la natura mostruosa di qualcosa che le è sempre stato vicino, mascherato con l’affetto, eppur ora solo le appare ripugnante. Interessante notare come, da un punto di vista narrativo, sia questa la premessa da cui diparte il viaggio di Yeong-hye verso l’assunzione delle proprie medesime sembianze mostruose.
Già ampiamente dimostrato in antropologia, così come in psicanalisi, l’orrore è una proprietà latente di società e individui, in costante dialettica con l’ordinario e in reciproca riaffermazione. In questo senso, i mostri servono. Ugualmente, da un punto di vista letterario, la nostra Yeong-hye è un mostro perfettamente riuscito poiché, nelle parole dell’autrice, essa diventa la sentinella del dolore degli altri. La sua esistenza provoca, contamina, disturba in maniera irreversibile ogni personaggio che le si trovi accanto -la famiglia di origine, il marito, il cognato e infine la sorella.
Ne La Vegetariana, Han Kang suggerisce molto bene, con l’apertura e la discrezione tipica delle buone regie letterarie, il senso di una riflessione profonda sul tema della violenza e della sua (supposta o meno) necessità, e non lo fa attraverso un’energica eroina, ma per il tramite di una silente, stralunata, efficacissima, donna-pianta.
Uccido qualcuno o vengo ammazzata… Le distinzioni sono confuse, i confini si erodono. […] Ogni certezza diventa impossibile. Solo la violenza è abbastanza vivida da rimanere. […] Quella sensazione raccapricciante, sordida, orrenda, brutale. Non resta nient’altro. Omicida o vittima.
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