Nel film La giusta causa (Just Cause, 1995) Sean Connery veste i panni di Paul Armstrong, un professore ed ex avvocato oppositore della pena capitale, che viene convinto da un’anziana donna di colore a sostenere la causa del nipote Bobby Earl Ferguson (Blair Underwood). Accusato dello stupro e dell’omicidio di una bambina bianca, il giovane detenuto afroamericano confessa a Armstrong di essere stato indotto alla confessione dai metodi violenti del detective Tanny Brown (Laurence Fishburne). Il professore decide quindi di occuparsi del caso, per evitare che un innocente possa finire sulla sedia elettrica ma deve scontrarsi con la pervicacia del detective, convinto della colpevolezza del ragazzo di colore. Durante le indagini, Blair Sullivan (Ed Harris), un serial killer in attesa dell’esecuzione, sembra accusarsi dell’omicidio della ragazza di cui è accusato Bobby Earl: le sue dichiarazioni sui particolari del delitto aiutano anche a ritrovare l’arma così che Ferguson ottiene un nuovo processo e rilasciato. Giustizia è fatta e tutto è bene ciò che finisce bene? No, perché la sentenza è il risultato di un patto tra due assassini: ottenuta la libertà Ferguson avrebbe ucciso i genitori del serial killer in cambio della falsa testimonianza di Sullivan che avrebbe poi rivendicato la responsabilità dell’omicidio della ragazza, commesso in realtà da Ferguson. Un pericoloso criminale è di nuovo libero e la vita della famiglia dello stesso Armstrong è ora in pericolo…
Diciamo subito che non sarà certo La giusta causa a far ricordare Sean Connery a tutti gli appassionati di cinema. Eppure questo film dell’eclettico Arne Glimcher (gallerista d’arte e scrittore premiato con il Pulitzer Price for Fiction prima che regista cinematografico) ha più di un merito, sebbene le stroncature ricevute su Rotten Tomatoes facciano pensare al contrario. Tratto da un soggetto di John Katzenbach, La giusta causa innanzitutto ha un ottimo ritmo che garantisce agli spettatori un’ora e quaranta di divertimento e questo è un aspetto da non sottovalutare per un film hollywoodiano. È disponibile a pagamento su Amazon Prime Video, per chi vuole una serata spensierata da divano e popcorn.
Le prove degli attori principali, come è logico aspettarsi da un cast di quel livello, sono tutte solide e convincenti. Sir Connery, allora 65enne, è perfetto nella parte dell’attivista impegnato contro la pena di morte e sostiene la sua battaglia di civiltà con grande passione mentre Ed Harris ruba l’occhio nel ruolo di uno psicopatico sanguinario dall’intelligenza sopra la media capace di leggere nella mente dell’interlocutore (la scena del primo incontro con Armstrong in cui prevede i pensieri del professore è forse la migliore del film!). Menzione speciale per la piccola Scarlett Johansson, undici anni all’uscita del film, già brava e adorabile nella parte della figlia di Armstrong.
Personalmente ho apprezzato soprattutto l’interpretazione di Laurence Fishburne, meno agevole di quello che può sembrare, calato nel ruolo di un rozzo detective che è disposto anche a ricorrere a violenza e scorrettezze pur di raggiungere quella che considera la verità (e la storia gli darà ragione) e condannare l’omicida di una bambina amica delle figlie. Il suo rifiuto a credere a una possibile innocenza di Ferguson ricorda molto da vicino il personaggio di Morgan Freeman in Johnny il bello (Johnny handsome, 1989), con l’importante e non banale differenza che in questo caso la diffidenza è rivolta verso un afroamericano.
Il punto debole è la sceneggiatura, nonostante gli alligatori delle everglades sostituiscano diligentemente la pistola di Čechov. I veterani Peter Stone e Jeb Stuart mettono mano al romanzo senza riuscire a dominarne fino in fondo il materiale e il risultato è uno scollamento molto forte tra la prima parte – che risente di un certo manicheismo contro la pena di morte, incarnato dal personaggio di Armstrong e dal suo scontro ideologico con il detective Brown – e la seconda, dopo il colpo di scena che stravolge la narrazione. A quel punto tutto cambia troppo velocemente e, ahimè, in modo poco credibile, e il film e il protagonista sembrano rinnegare e smontare quanto costruito fino a quel momento.
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