Amburgo. La storia si apre sulla vita ai margini del quarantenne turco Cahit Tomruk (Birol Ünel), uno sbandato alcolista che lavora in uno squallido locale della città. In preda alla depressione dovuta, come scopriremo nel corso del film, alla recente morte della moglie, una sera tenta senza successo il suicidio schiantandosi in auto contro il muro. Nell’ospedale psichiatrico dove viene ricoverato l’uomo incontra Sibel (Sibel Kekilli), una ventenne figlia di immigrati turchi. La ragazza, anche lei reduce da un tentato suicidio, è in cerca di un matrimonio di facciata che possa affrancarla dalla severa famiglia e dalle rigide regole che il padre tradizionalista e il fratello maggiore vogliono imporle.

Sibel, un po’ con le buone e un po’ con le cattive, finisce con il convincere Cahit a prenderla in casa sua per fingere di essere fidanzati e a sposarla. Anche dopo il matrimonio in realtà la donna continua solamente a provvedere alla casa, riordinando e cucinando e pagando l’affitto come una qualsiasi inquilina senza apparenti ulteriori coinvolgimenti emotivi. Eppure queste due esistenze estreme sembrano avvicinarsi e la vicenda sembra indirizzata verso un ordinario lieto fine, quando il destino ci mette lo zampino: provocato da un partner occasionale di Sibel che offende in sua presenza la donna, Cahit lo uccide accidentalmente con una bottigliata in testa e finisce in galera. Sola e ripudiata dalla famiglia per il disonore causato dal suo comportamento, a Sibel non resta che raggiungere a Istanbul l’indipendente e ammirata cugina Selma. Sul Bosforo, la giovane vivrà esperienze ai limiti costruendo infine una relazione stabile e diventando perfino madre di una figlia. Nel frattempo Cahit esce dal carcere e decide di ritrovare Sibel per ricominciare insieme…

Fatih Akın realizza con questo film il suo capolavoro, premiato con l’Orso d’Oro al Festival di Berlino. Per chi scrive, nessun lungometraggio del regista amburghese di origini turche è così riuscito come La sposa turca (Gegen die Wand, 2004). Autore anche del soggetto e della sceneggiatura, Akın riesce a descrivere l’incontro tra due disperati senza scadere mai nel patetico o nella commiserazione. Se il personaggio maschile incarna la sconfitta e la perdita di speranza, quello di Sibel rappresenta il disagio di chi si sente fuori posto per eccesso di vitalità e vuole provare tutte le esperienze possibili come se la vita fosse la fiamma di un fiammifero che illumina ma brucia rapidamente. Questa complementarità tra i due protagonisti del film finisce per aiutare Cahit, che ricomincia a superare il trauma per la morte della moglie. Ma la redenzione non è mai facile e la sceneggiatura di Akın dilata i tempi di questo itinerario di salvezza mettendo sulla strada dell’uomo un tragico imprevisto. 

La sposa turca è costruito con grande intelligenza, supportato anche da una colonna sonora memorabile. Stupenda soprattutto la trovata di introdurre intermezzi con le straordinarie esecuzioni di Selim Sesler e İdil Üner di musiche turche tradizionali a commento e introduzione della vicenda, quasi una versione moderna del coro delle tragedie. Ma la musica riveste un ruolo chiave in questo film anche per enfatizzare le scene più significative: le note di After laughter (Comes tears) di Wendy Rene accompagnano Sibel nel famoso luna park alle porte del quartiere di St. Pauli fino al bar dove scopre che Cahit ha appena ucciso un uomo e la voce dell’indimenticata Ofra Haza in Temple of love sottolinea la complicità che si sta creando tra i due mentre la musica martellante evidenzia l’effetto ipnotico che la danza di Sibel in discoteca riesce ad avere su Cahit.

La sposa turca è anche una riflessione sui rapporti umani, sulla loro fragilità e sulle vie tortuose che a volte sono in grado di percorrere pur di costruirsi. I due attori si dimostrano bravissimi. Lo sfortunato Birol Ünel, ucciso non ancora sessantenne da un cancro nel 2020, riesce a caratterizzare un credibilissimo personaggio, affascinante e dannato, che sceglie di autoemarginarsi per andare incontro alla distruzione e alla fine. Ma è soprattutto Sibel Kekilli a rivelarsi in stato di grazia. Con la sua bellezza e passionalità, l’attrice dà letteralmente corpo alla voglia di vivere che irradia il film e su cui si costruisce la relazione tra i due personaggi. Peccato che La sposa turca rimarrà una sorta di unicum nella sua carriera, un saggio di bravura che mostra quello che sarebbe potuto essere e non è stato, un esordio folgorante che faceva presagire ben altra carriera: dopo il film con Akın, la Kekilli è apparsa soprattutto in parti di secondo piano o in serie tv, partecipando anche a Game of thrones. Troppo poco, peccato!

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Una risposta a “Perdersi per ritrovare se stessi: “La sposa turca””

  1. Un film stupendo e per niente scontato.
    Tra questo e “la sposa promessa” non so quale sia più bello.

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