Si dice da tempo, forse da sempre, che dopo la Bibbia, il capolavoro di Carlo Lorenzini in arte Collodi, Le avventure di Pinocchio, uscito per la prima volta in volume nel 1883, sia in assoluto il libro più tradotto al mondo. In realtà dati certi non ve ne sono, e l’affermazione, pur se radicata in una certa idea collettiva, è più che altro una stima di massima. Ma le vulgate, come al solito, contengono più di una verità di fondo. In questo caso, molto semplicemente e senza addentrarci, almeno in questa sede, nelle analisi dei mille perché e percome, si tratta della testimonianza di un successo clamoroso, veramente universale e veramente senza tempo.
Le difficoltà oggettive, per non dire l’impossibilità, nel redigere un elenco esaustivo di tutte le edizioni del romanzo, nonché di tutti gli adattamenti e di tutti i racconti ispirati, derivati o che semplicemente ripropongono i medesimi personaggi, parlano da sole.
Difficoltà che si ripropongono nel momento in cui, dalla sfera letteraria (tralasciando quelle teatrali, musicali e artistiche) ci spostiamo a quella cinematografica.
Le avventure di Pinocchio, parafrasando la vulgata editoriale e libresca, risulta infatti, allo stesso modo, uno dei romanzi più adattati per lo schermo della storia del cinema. Tra film veri e propri, musical, serie tv, film d’animazione e live action, nonché opere non direttamente riconducibili al romanzo di Collodi ma a esso chiaramente ispirate (si pensi, per esempio, a A.I. di Steven Spielberg o, per rimanere nei confini nazionali, al problematico Occhio Pinocchio di Francesco Nuti), abbiamo contato, nella convinzione di aver perso per strada svariati titoli (nonché aver incluso opere a dir poco misteriose, come uno sceneggiato brasiliano del 1954, la cui esistenza è certa, al punto da essere sempre menzionato come la prima serie tv dedicata al burattino, ma di cui è impossibile reperire non solo le immagini, ma anche i nomi del cast) oltre cinquanta adattamenti.
Una storia iniziata nel 1911, con il primo Pinocchio cinematografico, interpretato da un attore in carne e ossa, un vero e proprio divo del cinema muto, il grande Ferdinand Guillaume, autentico mattatore delle comiche, noto in Italia con il nome di Tontolini. Diretto da Giulio Antomoro, dopo decenni di oblio finalmente restaurato e restituito integralmente al pubblico, pur essendo una messa in scena di maniera, il valore è comunque altissimo e mostra in ogni componente (dalla regia alla fotografia, dalla recitazione al montaggio) l’altissimo livello raggiunto dal cinema delle origini italiano, all’epoca nel pieno della sua età dell’oro.
Una storia, soprattutto, tutt’altro che finita, e che al momento vede come atti conclusivi due opere del 2022: la prima, diretta da Robert Zemeckis, è il rifacimento in live action del classico Disney del 1940, mentre la seconda è il bellissimo film di animazione di Guillermo Del Toro, che traspone la storia di Collodi ai tempi del fascismo.
Una storia lunghissima per un numero mostruoso di film. Che se di certo dimostra la fortuna immortale di questo eterno classico, non trova tuttavia un degno riscontro nella qualità delle riduzioni. In altri termini, in questo mare magnum di film e serie tratte da Pinocchio, le opere di valore sono decisamente poche. Accanto a rifacimenti del tutto trascurabili (vedi il pessimo film tv in due puntate del 2009, prodotto da RaiFiction e diretto da Alberto Sironi, con il piccolo Robbie Kay nel ruolo di Pinocchio e Violante Placido in quello della Fata), troviamo tonfi clamorosi e delusioni assolute, in primis il Pinocchio di Roberto Benigni, anno 2002, che nonostante un cast gigantesco (Kim Rossi Stuart, Carlo Giuffrè, Beppe Barra, Alessandro Bergonzoni) e una produzione stellare (Benigni era reduce dal successo clamoroso de La vita è bella) si rivelò un film talmente deludente da suonare quasi insopportabile.
Capolavori e opere notevoli, purtroppo, si contano sulle dita di una mano.
Nel campo dell’animazione, oltre al già citato film di Del Toro, che nonostante la grande responsabilità della trasposizione storica risulta fedelissimo allo spirito di Collodi, non ritenendo particolarmente memorabile la pur celebre serie tv giapponese degli anni Settanta diretta da Salto e Koshi, l’opera più memorabile rimane il classico Disney del 1940. Che tuttavia resta opera assai problematica, visto che se indubbiamente il livello tecnico la pone automaticamente tra i capolavori assoluti, essa si costruisce come un sistematico tradimento degli intenti del romanzo. Il che non rientra nell’ottica del normale rifacimento, ma proprio stravolge gli elementi portanti della storia di Collodi, spogliandola di quell’insostenibile inquietudine, di quell’aura da fiaba noir che ne costituisce la quintessenza, e viceversa la trasforma in uno zuccheroso film Disney a tinte pastello.
Bellissimo. Ma decisamente altra storia rispetto a Collodi.
Sul versante dei film veri e propri, è a nostro avviso straordinario il Pinocchio diretto da Matteo Garrone nel 2019, scritto dallo stesso regista con Massimo Ceccherini, cast d’eccezione che vede, tra gli altri, Benigni nel ruolo di Geppetto e Gigi Proietti come Mangiafuoco, e soprattutto Federico Ielapi, che grazie a un make-up sensazionale diventa un autentico “bambino di legno”. Per la splendida opera di Garrone, vale l’esatto contrario di quanto detto circa il classico Disney: è Collodi al cubo, riuscendo a restituire l’atmosfera sbeccata e claudicante, misera e disperata, del grande romanzo. Nonché quel senso feroce di vita e inquietudine.
Ma insuperato, e tuttora insuperabile, resta il monumentale Pinocchio di Comencini. Anno 1972, uno sceneggiato destinato giustamente a fare epoca e diventare leggenda, con un cast superlativo (splendido il piccolo Andrea Balestri nel ruolo di Pinocchio, gigantesco Nino Manfredi/Geppetto, indimenticabile Gina Lollobrigida/Fata Turchina e sensazionali Franco e Ciccio come Gatto e Volpe) ha saputo, pur prendendosi necessarie ma enormi libertà narrative (per ovviare al problema della metamorfosi, Pinocchio diventa bambino e torna burattino a intermittenza, mentre la Fata Turchina è lo spirito della defunta moglie di Geppetto), diventare “il” Pinocchio per eccellenza, radicato nell’immaginario collettivo a imperitura memoria.
Questo perché non è “quanto” si adatti un’opera dalla carta allo schermo, bensì “come” lo si fa.
E il lavoro di Comencini restituisce la più cruda, stupefacente, sognante, turpe e meravigliosa essenza della storia di Collodi.
Ancora oggi, da vedere e rivedere senza stancarsi mai.
Proprio come il romanzo resta da leggere e rileggere. Che è esattamente quello, né più e né meno, che si chiede ai grandi classici.
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