“La creazione è un uccello senza piano di volo, che non volerà mai in linea retta”. In questa frase della protagonista risiede anche il senso più profondo del film biografico Violeta Parra – Went to heaven (Violeta se fue a los cielos, 2011). Cantante, pittrice ma anche artigiana con una vasta produzione di arazzi e ceramiche, negli anni ’50 Violeta Parra viaggiò attraverso il suo paese per raccoglierne e registrare i canti tradizionali, prendendo coscienza sia della ricchezza culturale popolare che delle condizioni sociali delle persone che incontra.
Liberamente ispirato all’omonima biografia scritta dal figlio dell’artista, Ángél Parra, il film ripercorre la vita intensa e tumultuosa della cantautrice più celebre del Cile, prima donna latino-americana a essere esposta al Louvre, rompendo con alcuni codici dei biopic tradizionali. L’impianto narrativo è tutt’altro che scontato: estratti di interviste costellano una biografia che non rispetta volutamente la cronologia dei fatti. Il film riesce così a riscoprire l’anima e l’immaginazione di questa artista non senza fare ampio utilizzo dell’opera del precursore della Nueva canción chilena, molte delle quali sono diventate veri e propri inni (una su tutte la struggente Gracias a la vida diventata un successo planetario e tradotta in italiano da Gabriella Ferri): le canzoni morbide e avvincenti di Violeta Parra abitano il film, ne sottolineano il soggetto, rivivono e seducono con la chiarezza e la violenza della loro poesia.
È dalla sofferenza che scaturisce l’arte più pura e la bellezza più violenta: questa è la tesi di fondo del film, che racconta le composizioni dell’artista attraverso gli eventi della sua vita. Violeta appare come una donna singolare, forte, irriverente, risoluta, profondamente addolorata e altrettanto talentuosa. La semplicità della sua vita e la molteplicità delle sue azioni artistiche contrastano con il successo globale di cui gode, e che non sarà mai l’asse principale della narrazione. Il regista preferisce il ritratto di una donna tormentata e impetuosa che, nonostante le sue avventure i suoi successi e le sue scappatelle, incontrerà il suo inevitabile destino in una sequenza finale che prenderà la forma di una tortura. Alla fine del film, grazie ad un’ottima interpretazione da parte di Francisca Gavilán, l’identificazione è perfetta, l’adeguatezza è impeccabile: noi stessi sentiamo questa opprimente da cui Violeta Parra ha tratto la sua arte ma dalla quale non è mai riuscita scappare.
Regista cileno di fama internazionale (tra i suoi successi ricordiamo il film del 2004 Machuca, che offre una visione del colpo di stato del 1973 attraverso la soggettività dello sguardo di due bambini), Andrés Wood fornisce il suo personalissimo contributo a quel filone di biografie sui grandi personaggi che hanno costruito l’identità latino-americana che arricchisce le storie del cinema della regione. Wood decide così di integrare il libro di Ángel Parra – che ha anche prodotto un album tributo a sua madre, con lo stesso titolo – con interviste a conoscenti della cantante e documenti complementari.
Il risultato è un viaggio avanti e indietro nel tempo dove sperimentiamo la rusticità della campagna, conosciamo la cultura cilena di un tempo e il contesto rurale come fonte di ispirazione e origine del carattere ribelle e appassionato di Violeta, che ha fatto conoscere al mondo la tradizione folcloristica cilena attraverso la sua musica. Un omaggio a una figura centrale della cultura cilena che ha ottenuto un discreto successo nei festival cinematografici internazionali: tra gli altri premi, Violeta – Went to heaven ha vinto quello per la migliore fiction internazionale al Sundance Festival nel 2012
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