Figura atipica della letteratura argentina, Daniel Moyano ha lasciato sette romanzi e otto raccolte di racconti. Una carriera in due tappe, iniziata nel 1959 in Argentina, per poi proseguire dal 1976 e fino alla morte, avvenuta nel 1992, in Spagna dove fu costretto a emigrare per sfuggire alla dittatura dei militari. Così questo autore e musicista ha segnato la storia della letteratura del suo Paese, e di quella mondiale, ha lasciato il suo segno giocando all’eccesso. L’opera letteraria di Moyano è caratterizzata da una gioiosa commistione tra le sue due passioni, non è senza una certa musicalità che le sue storie vengono raccontate, offrendo spesso un’affascinante riflessione sulle relazioni, sugli esseri umani e su come si ritrovino in contatto con la Storia, venendo qua e là ad affiorare quella natura intima che rivela tutta la sua profondità e i meccanismi che la regolano. Immergendosi con disinvoltura nel picaresco e nell’assurdo, è quando riflette sulla condizione umana, e in particolare su quella del popolo argentino, che Moyano affascina di più. Il trillo del diavolo non fa eccezione alla regola.
Il protagonista, Triclinio, nasce nell’affamato entroterra argentino in una città sorta per errore in mezzo al nulla, troppo lontana dal luogo previsto. Il bambino impara presto a suonare, prendendo in mano il violino dopo aver conosciuto attraverso il padre l’opera di Paganini. Ma ora il suo villaggio non gli dà la possibilità di coltivare il talento che ha scoperto di avere, cosa che lo spingerà a prendere la strada di Buenos Aires per realizzare il suo sogno musicale. Un viaggio che si confronta con la realtà della città degli orchi, della politica del paese che perseguita i musicisti perché ritenuti gli unici in grado di opporre una resistenza efficace, spingendo progressivamente il nostro protagonista verso una vita ai margini, nelle baraccopoli, in mezzo ad altri violinisti, che proprio come lui sognavano di diventare musicisti e guadagnarsi da vivere la loro musica.
Il trillo del diavolo – che l’editore Nottetempo propone insieme ad altri sei racconti brevi – è un distillato del genio di Daniel Moyano in poco più di 100 pagine. Scritto nel 1974, poco prima dell’esilio dell’autore dall’Argentina e della sua nuova vita in Spagna, assume quasi una forma di innocenza definitiva soprattutto se paragonata alla disillusione che Moyano mostrerà verso il suo Paese nei testi successivi.
“La realtà dei suoi racconti è quasi sempre popolata di bambini e adolescenti. È una realtà in cui abbondano i misteri e i personaggi onnipotenti, le meraviglie e le sventure, improvvise e inesplicabili” scrive Mario Benedetti nella bella e ricca prefazione al volume: Il trillo del diavolo è un racconto iniziatico, picaresco e talvolta perfino assurdo, che permette all’autore di evidenziare la disparità culturale tra Buenos Aires e le regioni più remote del Paese. Triclinio si immerge in un vagabondaggio quasi mistico, evolvendosi in un universo (la musica) che gli parla e che ammira, mentre si confronta con questa grande incognita che è la mutevole situazione politica dell’Argentina.
Gustoso, divertente e toccante il romanzo rappresenta un’ottima lettura che coniuga scorrevolezza e qualità. Non ingannino infatti il tema e l’ambientazione: è ancora il grande Benedetti a ricordarci come Moyano, riservato al punto da favorire la scarsa considerazione di cui godeva negli ambienti letterari spagnoli, fosse un narratore di razza: autore (secondo Benedetti) con Libro de navios e borrascas del miglior romanzo sulla repressione e l’esilio, apprezzato da Garcia Marquez e Roa Bastos che ravvisava nella sua opera l’influenza di Kafka e Pavese, inventore come Cesar Vallejo di un proprio repertorio di parole. Moyano è un “irrimediabile punto di riferimento di tutta una memoria collettiva”.
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