Un bambino, nascosto dietro un armadio, assiste impotente al massacro della sua famiglia da parte di quattro banditi. Quindici anni dopo, Bill (John Phillip Law) è diventato adulto e la sua sete di vendetta non si è esaurita: inizia un’incessante ricerca dei colpevoli. Ma viene raggiunto e addirittura superato da un uomo enigmatico – Ryan (Lee Van Cleef) –  che, appena uscito di prigione, sembra cercare gli stessi rinnegati. I due uomini uniscono quindi le forze, solo che la loro motivazione si rivela ben presto non essere la stessa e non smettono mai di volersi superare a vicenda per raggiungere il proprio obiettivo prima dell’altro. Ma c’è una sorpresa: allora non c’erano quattro banditi, ma forse cinque…

Da uomo a uomo (1967), di Giulio Petroni, è un bellissimo western di vendetta. Forse non immediato come i migliori western di Sergio Corbucci, sicuramente meno impegnato di quelli di Sergio Sollima, il film inizia comunque in modo sorprendente: fin dalle prime battute s’intuisce la fattura superiore della pellicola. L’atmosfera notturna, sotto la pioggia battente, con i killer che arrivano con i foulard svolazzanti per massacrare un’intera famiglia davanti agli occhi del bambino (che diventerà poi una sorta di angelo redentore), determina subito il taglio. Da uomo a uomo è violento, ben impostato e fotografato in modo sublime e sviluppa uno dei migliori prologhi della storia del cinema western.

Il pensiero va fugacemente a C’era una volta il West, girato lo stesso anno, ma niente di più. Il film fa un salto nel tempo e il bambino, ormai adulto, è impersonato da un certo John Phillip Law che non ha ancora interpretato Diabolik (1968), di Mario Bava, e Barbarella (1968), di Roger Vadim.

È un ragazzone alto due metri, capelli biondi e occhi azzurri, nato a Hollywood, che dopo una non sfolgorante carriera d’attore – certamente da ricordare Il sergente (The Sergeant, 1968), di John Flynn a fianco di Rod Steiger – trova una certa fortuna nel cinema italiano. Ha scarso carisma e, naturalmente, scompare nel confronto con Van Cleef al meglio della sua forma. Si unisce al più anziano nella sua ricerca di vendetta anche se i due uomini non hanno le stesse ragioni né lo stesso obiettivo e, nel gioco perverso che fa da contesto, non smettono mai di farsi sgambetti.

Uno schema classico certamente, che funziona perfettamente. Certo, Da uomo a uomo soffre di una certa ripetitività, ma è necessario sottolineare che Van Cleef porta il ​​film sulle sue vigorose spalle fornendo consistenza, spessore e anche una potenza che manca al suo partner per completare il film. Con il risultato di creare un duetto, un’associazione, che non solo finisce per funzionare, ma si guadagna una delle collocazioni più importanti all’interno del genere.

L’altro attore principale del film, ancora una volta, è Ennio Morricone che offre qui una delle composizioni più contorte e originali della sua carriera e spesso permette al film di decollare verso lidi insospettabili, non esenti da malizia e finezza. Giulio Petroni è regista esperto che lavora dal 1959 in quasi tutti i generi (peplum, commedie, thriller…) e nel genere firma altre due pellicole notevoli: …e per tetto un cielo di stelle (1968), con Giuliano Gemma; e Tepepa (1969), con Tomas Milian. Se nel prologo mostra fin dall’inizio tutto il suo talento, questo talento non viene mai meno in seguito. Qualche incertezza, semmai, in sede di sceneggiatura, che fatica a mescolare un certo taglio umoristico con flashback “psichedelici” piuttosto violenti, determinano il limite del film, e nel contempo contribuiscono al suo fascino un po’ antiquato. Ingenui i vistosi segni distintivi che fanno riconoscere a Bill i suoi aggressori d’infanzia: un’enorme cicatrice, un orecchino, un tatuaggio, oltre a un ciondolo un po’ troppo facilmente esposto. Ma il complesso è positivo, con una serie di scene sorprendenti (Van Cleef che, con grande piacere, lascia il giovane sepolto sottoterra), una sorta di storia iniziatica a due teste, astuta e provocatoria.

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