L’ennesimo omicidio di una donna sola viene perpetrato in rue des Rosiers a Parigi. Si tratta del quarto delitto e l’assassino ha avuto l’audacia di avvisare anche il commissario Maigret (Jean Gabin), che fa arrestare un falso sospetto e semina per strada un gruppo di donne ausiliarie della polizia. Durante la ricostruzione dell’ultimo omicidio, un’ausiliaria viene aggredita dal serial killer, ma riesce comunque a salvarsi. Intanto il commissario Lagrume (Olivier Hussenot) pedina una giovane donna, Maigret concentra la sua attenzione sulla famiglia Maurin, proprietaria della macelleria dove si è dileguato l’assassino.
=======SPOILER========
Mentre arresta Marcel Maurin (Jean Desailly) e crede di avere trovato il
colpevole, Maigret è spiacevolmente sorpreso nell’apprendere che durante
l’interrogatorio di Maurin è avvenuto un nuovo omicidio. Maigret sospetta una trappola e, mentre riporta Maurin a casa, interroga sua madre (Lucine Bogaert) e sua moglie (Annie Girardot): è stata quest’ultima ad uccidere per coprire il marito. Maigret fa appena in tempo a (ri)catturare Maurin prima che commetta un altro crimine.
Scritto e pubblicato nel 1955, il romanzo Maigret tend un piège è subito considerato uno dei migliori della serie dedicata da Georges Simenon al commissario Maigret. Più psicologico che spettacolare, il romanzo si propone di descrivere un interessante caso psichiatrico, cercando di penetrare nella psiche disordinata di un serial killer. Questo tema, originale per l’epoca, permise di rinnovare con finezza una serie di romanzi che comprendeva
numerosi titoli.
Intermondia Films, che aveva già finanziato diversi successi di Jean Gabin, acquista i diritti di sfruttamento cinematografico e affida a Michel Audiard la sceneggiatura, scritta su misura per Gabin (circondato da un cast stellare, spesso di provenienza teatrale): Il commissario Maigret (Maigret tend une piège, 1958), di Jean Delannoy.
Spesso criticato per l’accademismo della sua regia, Delannoy riesce a creare uno dei suoi film migliori, che fin dalle prime scene del delitto è evocativo delle atmosfere del cinema di Fritz Lang. Il regista si affida in particolare alle superbe luci contrastanti di Louis Page, che interagiscono magnificamente con le zone d’ombra e alle scenografie di René Renoux, allo stesso tempo eccessivamente estetiche e perfettamente credibili, al punto che a volte è difficile distinguere i passaggi girati in studio da quelli
girati in ambienti naturali nel Marais de Paris.
Efficace sul piano estetico, Il commissario Maigret beneficia anche di una regia che riesce a evitare l’aspetto teatrale – nonostante la preponderanza delle scene in interni – grazie a movimenti di macchina discreti, ma che sanno essere fluidi ed efficaci. Niente di superfluo o ostentato, ma la cinepresa di Delannoy sa cogliere i più piccoli dettagli in grado far avanzare la trama. Una precisione ad orologeria che permette di compensare la
lunghezza del film, anche se la suspense sull’identità dell’assassino si risolve abbastanza rapidamente. In realtà, come nel romanzo, ciò che interessa soprattutto agli autori è la descrizione di un grave caso psichiatrico, basato in particolare sull’impotenza sessuale e sulle conseguenze causate dalla presenza di una madre castratrice.
Se sono notevoli le sequenze di confronto tra Gabin e Girardot, il lungometraggio acquista forza grazie alla presenza di Jean Desailly, che offre una performance davvero notevole che rasenta il genio. La sua recitazione, sfumata ed espressiva, contrasta alla perfezione con quella più interiorizzata di Gabin. Giocando al gatto col topo, si confrontano in un palleggio continuo e decretano il successo della trasposizione. Di fronte a questo grande successo, Gabin, Delannoy e Audiard si riuniranno nuovamente per Maigret e il caso Saint-Fiacre (Maigret et l’affaire Saint-Fiacre, 1959). Meno riuscito il
terzo e ultimo Maigret e i gangsters (Maigret voit rouge, 1963), di Gilles Grangier (e senza più Audiard).
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