Approcciare La Storia di Elsa Morante, nel 2024, significa ripercorrerne non solo l’attualità, ma anche provocare una riflessione col senno di poi sul ruolo che l’opera ha oggi nel panorama letterario italiano. Nel 1974 esce La Storia. L’opera è il terzo romanzo dell’autrice, prima donna insignita del Premio Strega già nel 1948, per Menzogna e sortilegio. Il testo cuce la sua trama attorno al personaggio di Ida Ramundo, nel contesto di una Roma sconquassata dagli avvicendamenti storici, tra il 1941 e il 1947.
Ida è una modesta maestra elementare, di origini calabresi, ebrea per un quarto, da parte di madre. In seguito a uno stupro subito da un soldato tedesco -destinato a morire in Africa di lì a breve- concepisce Useppe, il suo secondogenito. Ida, infatti, è già vedova di guerra e madre dell’incontenibile adolescente Nino. Attorno a questo nucleo umano, si dipanano le vicende della guerra. Dagli entusiasmi fascisti dei primi albori bellici, cui Nino non manca di partecipare, ai bombardamenti anglo-americani, passando per l’emanazione delle leggi razziali in Italia, la deportazione degli ebrei dal ghetto di Roma, gli sfollamenti, la fame, la vita precaria tra profughi in soluzioni abitative estemporanee e miserrime. Ancora, scegliendone con efficace parsimonia gli episodi, la Morante ci racconta uno spaccato di resistenza, cui sempre Nino non rinuncia a prender parte, e la recrudescenza sanguinaria da parte dei nazi-fascisti verso la popolazione civile italiana, dopo l’8 settembre 1943. Infine, su una popolazione giunta allo stremo, ecco firmarsi la Pace e l’avvio della lenta ricostruzione di un tessuto economico, sociale e infrastrutturale, letteralmente in macerie. Il ritorno alla normalità non detta però, per Ida, la fine degli stenti. Le conseguenze nefaste del tumulto subito da questo piccolo nucleo familiare porteranno i tre personaggi, per vie differenti, verso un finale ugualmente tragico.
Ritagliare la trama del romanzo intorno a Ida, Useppe e Nino è tuttavia riduttivo del complesso narrativo che caratterizza La Storia. Infatti, questa vive di una serie fittissima di personaggi secondari e minori, i quali ne ramificano l’ordito verso spaccati biografici che potremmo definire periferici, ma che in realtà ne costituiscono materia centrale. La diramazione della storia in tanti vissuti umani, indifferente agli schieramenti e, per così dire, empatica, rafforza il fil rouge che attraversa il romanzo, vale a dire il confronto impietoso tra i fatti umani, del popolo minuto, e i meccanismi della Storia, quelli scanditi dai trattati e dalle decisioni politiche che si tramandano dentro i libri. Non a caso, forse, al fronte di una serie di personaggi che partecipano, più o meno convintamente, a questa o a quella ideologia del conflitto, Morante sceglie una protagonista tipicamente a-politica. Maggiore si fa in Ida la pena e lo sforzo per la sopravvivenza di sé e di Useppe bambino, più questa appare candidamente martoriata sotto i colpi indifferenti di un meccanismo anonimo e soverchiante.
Nella resa del confronto tra storie e Storia, Morante sceglie l’escamotage narrativo di intervallare la parte più prettamente romanzesca del libro con degli intermezzi che, secondo uno stile impersonale e di cronaca, elencano gli eventi internazionali storicamente salienti dell’anno che va a raccontare. Tra l’occupazione italo-tedesca della Cirenaica e il Processo di Norimberga, il lettore è condotto dietro ai passi di Ida. Nei deliri angosciosi per quel quarto di sangue ebreo che le scorre nelle vene, nel suo insegnare agli allievi delle scuole un sapere supinamente propagandistico, nel pudore per il furto di un uovo e nella strenua quanto vitale convivenza con gli altri sfollati; fino ad arrivare al dopoguerra, ove la nostra mortificata quanto tenace protagonista subisce il timore reverenziale persino verso la dottoressa che, invano, cercherà di curare l’epilessia del piccolo Useppe. Quest’ultimo, senza dubbio, da intendersi quale vittima sacrificale per eccellenza dei meccanismi della Storia.
Quando uscì, il romanzo ebbe uno straordinario successo di pubblico, arrivando a vendere fino a 600.000 copie. Tale riuscita, per Einaudi, fu sostenuta dalla stessa autrice che impose alla casa editrice la vendita del libro, fin da subito, in edizione tascabile economica. A livello di critica, è interessante notare come, all’epoca, il testo abbia suscitato un dibattito controverso, raccogliendo i favori di grandi autori come la Ginzburg, ma anche stroncature e critiche piuttosto sfavorevoli quali, tra le altre, quella del poeta e amico Pier Paolo Pasolini.
Viceversa, nel dibattito contemporaneo, La Storia è più spesso considerato un capolavoro. All’epoca, si dice, il testo sarebbe stato altresì accolto ambiguamente per varie ragioni. La prima, che il libro veniva ricondotto al genere del romanzo storico. Questo genere, tipicamente corale e volto alla rappresentazione di vicende umane sullo sfondo di grandi affreschi storici, era ritenuto, nel 1974, in qualche modo demodé, poiché tipico del secolo precedente. Secondariamente, il pathos che la scrittrice imprime nelle pagine dell’opera, per giunta per il tramite di un narratore onnisciente, avrebbe reso Morante rea, agli occhi dei suoi contemporanei, di barattare l’arte narrativa con il facile coinvolgimento emotivo di un pubblico popolare, addirittura principiando il romanzo con la dedica all’analfabeta per il quale scrivo o scegliendo, per la copertina della prima edizione, la fotografia di un bambino morto sopra un covo di macerie. Allorquando, negli stessi anni, le operazioni letterarie dei grandi autori andavano verso schemi espositivi fortemente intellettualizzanti – si veda, tra tutti, l’esempio de La vita interiore di Moravia, pubblicato quattro anni dopo ‘La Storia’. Infine, la scrittrice avrebbe reso la tesi del libro, vale a dire che la storia è uno scandalo che dura da 10.000 anni, per il tramite di un personaggio fin troppo apolitico, alfine piattamente patetico, sostanzialmente inverosimile, condendo la trama di una serie di numerosi personaggi ulteriori, ugualmente non sufficientemente esplosi. È interessante notare come, ad oggi, gli elementi di critica qui richiamati siano altresì i fattori che fanno riconoscere, del romanzo, un’originalità e una forza straordinari. Al punto che, da più fonti, la Morante è inserita nella schiera degli autori italiani del ‘900, in qualità di contributrice al canone letterario.
Ma, al di là di tutto questo, in qualità di lettrice, mi sono domandata se e per quali ragioni l’opera di Elsa Morante non sia letta e raccontata nelle scuole con lo stesso tempismo e la stessa convinzione con cui questo accade per altri classici della letteratura italiana. Essa è giunta invero a me, lettrice educata alla produzione letteraria contemporanea, come un abbaglio. Una nota dissonante nel coraggio di un’operazione narrativa corale, colossale, immaginifica, al fronte di un’abitudine al racconto di tanti io che parlano di sé in un orizzonte solitario e auto sussistente. Ricalcando le parole della scrittrice polacca Olga Tokarczuk, nel suo illuminato intervento Il Tenero Narratore, in occasione della consegna del Premio Nobel per la Letteratura conferitole nel 2018:
Io penso che la narrazione condotta in prima persona sia estremamente caratteristica della nostra epoca, nella quale l’individuo svolge il ruolo di soggettivo centro del mondo. La civiltà occidentale è in larga misura costruita e fondata proprio su questa scoperta dell’io che costituisce una delle più importanti unità di misura della realtà.
E pur tuttavia,
Bisognerebbe raccontare […] in modo da mettere in movimento nella mente del lettore l’idea del tutto, la capacità di unire frammenti in un unico disegno, di scoprire nei dettagli degli eventi intere costellazioni. Raccontare storie in maniera da rendere chiaro che tutto e tutti sono immersi in un unico disegno condiviso che, ad ogni giro del pianeta, scrupolosamente produciamo nelle nostre menti. […] La letteratura è basata sulla tenerezza verso qualunque essere altro da noi. […] La tenerezza è infatti l’arte di impersonare, di trovare un sentire comune e quindi l’arte dell’incessante ricerca di somiglianze. È questo il meccanismo fondamentale della narrazione. Grazie a questo strumento […] la nostra esperienza viaggia nel tempo e raggiunge quelli che non sono ancora nati.
Quando Elsa Morante scrisse La Storia io non ero ancora nata. Ebbene, se questi fatti distanti mi sono giunti così fortemente, pur in una cornice storica da me relativamente già nota, credo sia proprio in virtù dell’esercizio di una siffatta tenerezza. Per questa ragione, per quelle sopra menzionate e per molte altre ancora, La Storia è senza dubbio un libro di cui, oggi, è ancora molto necessario parlare.
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