Per fortuna nel circuito dei libri di seconda mano ci si imbatte ancora con relativa facilità nei volumi della Biblioteca di Babele, la collana di letture fantastiche che Jorge Luis Borges selezionò per il prestigioso editore Franco Maria Ricci e confluita poi negli economici Mondadori. Tra i raffinati titoli selezionati, vere e proprie chicche della letteratura mondiale quali Lo specchio che fugge del nostro Papini, Storie sgradevoli di Léon Bloy, Il diavolo in amore di Jacques Cazotte (qui il nostro articolo) o L’ospite tigre di Sung-Ling Pu. Lo sguardo del grande argentino spazia su un ampio orizzonte, senza tuttavia dimenticare gli autori culturalmente e geograficamente più vicini a lui.
“Se dovessimo compendiare in una persona sola tutto il corso della letteratura argentina, quella persona sarebbe indiscutibilmente Leopoldo Lugones”1 scrive Borges nella prefazione a La statua di sale, una silloge di sette racconti del connazionale che fu poeta, narratore, critico, storiografo, lessicografo, oratore e, senza troppa fortuna, ellenista e traduttore di Omero. Difficile contestare questa affermazione, perché davvero Lugones presenta molti dei tratti caratteristici della letteratura fiorita tra la pampa e il Rio de la Plata. L’apologia dell’opera breve e lo stile calligrafico dei racconti oltre al gusto per il fantastico e una certa predisposizione per l’apocrifo rendono Lugones il capostipite della tradizione del suo paese che può vantare grossi calibri come Bioy Casares, le sorelle Ocampo, Cortazar e lo stesso Borges.
Queste caratteristiche più propriamente letterarie, oltre a un destino disgraziato, lo avvicinano all’altro padre fondatore del genere fantastico latinoamericano, l’uruguaiano Horacio Quiroga (entrambi finiranno suicidi, Quiroga nel 1937 e Lugones nel 1938): “nessuno può dissimulare la felicità. In Lugones, malgrado il suo orgoglio e il suo riserbo, la desolazione era evidente. Quando, una quarantina di anni fa, mi telefonarono che si era suicidato, provai pena ma non sorpresa, perché capii che tutta la sua vita, costellata di abiure e rinunce, era stata un suicidio differito. “Padrone della propria vita, l’uomo lo è anche della propria morte”, disse in una sentenza che Seneca non avrebbe disdegnato”2. Questa sorta di nume tutelare della letteratura argentina, che ebbe anche il merito di affermare il gaucho come paradigma nazionale attraverso un ciclo di conferenze dedicate al poema epico Martin Fierro di José Hernández, condusse quindi un’esistenza travagliata caratterizzata da tortuose e improvvise giravolte ideologiche: educato al cattolicesimo e iscritto alla massoneria, Lugones fu socialista e liberista, conservatore e apertamente fascista.
Sull’asse portante costituito da Poe e Wells, irrinunciabili punti di riferimento del genere fantastico, vengono innestate, nei raccolti scelti da Borges, suggestioni provenienti da Dante, dal mondo biblico e da poeti come José Maria Heredia. Lo stile di Lugones è curato ed essenziale, ma non per questo meno fantasmagorico. La sua preoccupazione non è tanto quello di sorprendere il lettore con una soluzione inattesa (in almeno due dei racconti, Yzur e Francesca, la fine è rivelata da subito!) quanto di creare situazioni che, per quanto fantastiche, trovano nella parola la loro stessa possibilità di esistere.
Uno scrittore è un creatore, un immaginatore di mondi, un cospiratore del linguaggio. Lugones è stato tutto questo: l’augurio è che i lettori italiani possano dare alla sua opera lo spazio e la rilevanza che merita.
1 J. L. Borges, Introduzione, in Lugones, La statua di sale, Mondadori, Milano, 1990 – pag. 5
2 Ibid. – pag. 7
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