Emerenziano Paronzini (Ugo Tognazzi), invalido della Seconda guerra mondiale per essere stato ferito sul fronte greco-albanese, è un impiegato del Ministero delle finanze e nello svolgimento dei suoi incarichi si dimostra inflessibile, puntuale e rigido fino alla caricatura. La principale preoccupazione del Paronzini è quella di soddisfare la raccomandazione dell’igienista Paolo Mantegazza, che suggerisce agli uomini di una certa età di soddisfare le “3 C”, carezze, caldo, comodo. L’occasione di contrarre un matrimonio vantaggioso è offerta da tre zitelle arricchite dall’eredità del padre defunto che vanno “di chiesa in casa e di casa in chiesa”: invitato a bere un caffè nella loro confortevole villa, Paronzini sposa la primogenita Fortunata, ma è presto costretto ad accontentarle tutti e tre…

Venga a prendere il caffè…da noi (1970)  è stato uno dei maggiori successi di pubblico di Alberto Lattuada, nonostante sia una commedia lontana dai canoni del genere e ammicchi al mostruoso e grottesco. Tratto dal romanzo di Piero Chiara La spartizione, il film trasporta la vicenda dagli anni ’30 al dopoguerra. Attribuita ad Adriano Baracco e Tullio Kezich oltre che ad Alberto Lattuada e allo stesso Piero Chiara, la sceneggiatura si concentra sulla vicenda principale, tralasciando quasi completamente ogni altra considerazione sociale o politica, producendo così un film avulso dal contesto realtà italiana dell’epoca e che appare sospeso nel tempo anche per la sua ambientazione provinciale (la scelta di Luino è in controtendenza rispetto alla predilezione della maggior parte delle produzioni del periodo per le grandi città come Milano o Roma).

Tra commedia di costume e favola erotica, Venga a prendere il caffè…da noi offre almeno un paio di motivi per essere visto. Innanzitutto la straordinaria interpretazione di Ugo Tognazzi, perfettamente a suo agio nell’interpretare il maschio alfa italiano, una creatura pedante perennemente persa nella zona grigia che separa il buon gusto dalla volgarità. “Nel film di Lattuada mi affascinava la possibilità di costruire un campione della mediocrità, una mediocrità che peraltro, qui, è sublimata nel fatto che il personaggio è anche presuntuoso”, spiegherà più tardi l’attore cremonese1. Impeccabile come piccolo impiegato statale senza statura che approfitta del suo status e particolarmente a suo agio in questo tipo di ruoli, Tognazzi delizia lo spettatore in ogni sua apparizione, provocando alcuni momenti di grande umorismo.

Paronizini per gran parte del film è soprattutto una proiezione perché offre a ogni donna ciò che desidera (matrimonio, sesso crudo e sentimenti) e ognuna lo vede a modo suo. Eppure Lattuada ha avuto cura di lasciarcelo scoprire nella sua volgarità (usa uno stuzzicadenti per la bocca e le orecchie, fa rumore mentre beve) e nella sua stupidità di provinciale che si esprime per frasi già pronte e luoghi comuni (“l’arpa: sublime strumento”). È una sorta di burattino che, mentre crede di manipolarle, cade sotto il controllo delle tre donne e si perde; simbolicamente, quando fa la sua proposta di matrimonio, che è più un contratto che una dichiarazione infuocata, Lattuada lo incornicia con una collana di salsicce che gli incornicia il collo a mo’ di cappio.

Emerenziano incontra le tre sorelle Tettamanzi – la severa Tarsilia (Angela Goodwin), la passionale Fortunata (Francesca Romana Coluzzi) e l’isterica Camilla (Milena Vukotic) – immerse nella devozione al padre defunto, imprigionate in una casa-museo piena di animali imbalsamati o di verdure in barattolo: dove tutto è mummificato, sterile, il desiderio le assale, dove il gallo (perfetta metafora del ruolo che ricoprirà Paronzini) rincorre le galline, mentre le letture e le incisioni lascive invitano alla soddisfazione dei desideri. Il ménage à quatre che le sorelle animeranno con Emerenziano avrà un esito tragicomico e si rivelerà pericoloso.

Proprio la conclusione del film rende Venga a prendere il caffè…da noi tanto un attacco al buon pensiero quanto uno sguardo crudele verso gli uomini, stupidi e spregevoli. Come nella migliore tradizione italiana, il risultato è un film feroce e divertente, che gioca con la moralità e la meschinità dei suoi calcoli. Paronzini sembra spietato nel perseguire i propri interessi ma le sue compagne, vere e proprie mantidi religiose, non sono da meno: le tre sorelle passano dal riserbo al comportamento sfacciato con uguale gioia. Gli amanti del buon gusto distoglieranno lo sguardo ma per tutti gli altri questo film dal finale sontuosamente ironico costituirà una prelibatezza grassa e gustosa.


1 Cfr. Jean Gili, Il cinema italiano

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