In un’ideale antologia dei film di fine millennio da salvare, un posto deve essere sicuramente riservato a Man on the Moon (1999). Ancora una volta alle prese con la biografia di un individuo straordinario, dopo quelle dedicate a Mozart e Larry Flint e prima dell’ultimo lavoro che avrà come protagonista Goya, Milos Forman ha l’occasione di realizzare un’idea che aveva iniziato a prendere forma a metà degli anni Settanta, quando il regista aveva avuto occasione di assistere dal vivo a una performance di Andy Kaufman.

Nel raccontare la storia dell’ascesa alla fama e della caduta in disgrazia di questo comico anticonformista, divisivo e al centro di numerose polemiche, il biopic lo mostra brevemente da ragazzo, poi si sposta alla metà degli anni ‘70, quando sta iniziando la sua carriera come cabarettista in club. Una sera l’agente George Shapiro lo vede esibirsi e decide che vuole rappresentarlo ma, quando i due si incontrano, Kaufman confida a Shapiro di considerarsi un cantante e ballerino, non un comico. Dopo aver firmato con Shapiro, Kaufman fa un’apparizione come ospite musicale nel primo episodio di Saturday Night Live, poi recita in Taxi. Insieme al suo partner, Bob Zmuda, scrive uno speciale in prima serata che i dirigenti della ABC bocciano, definendolo bizzarro e poco divertente. Nel frattempo, Kaufman vive una doppia vita: il suo alter ego è un cantante di lounge offensivo e assolutamente privo di talento di nome Tony Clifton. Una volta sotto i riflettori, Kaufman non è disposto a diventare creativamente apatico, perché gli piace giocare con la sua immagine mutevole e esplorare i confini tra fantasia e realtà. Quindi si propone nelle vesti di un wrestler sessista che combatterà̀ solo contro donne e, nel corso del suo primo “incontro” pubblico, sconfigge la sconosciuta Lynn Marguiles di cui in seguito si innamora. Seguono altri incontri, fino a quando Kaufman non viene sfidato ad andare uno contro uno con il re del wrestling, Jerry Lawler. L’attore diventa così abile nell’arte dell’inganno e dell’illusione che, quando scopre di avere un cancro terminale, nessuno gli crede. La sua famiglia lo vede come l’ultima di una serie di crudeli battute e crede che il suo medico altri non sia che un attore. Come il ragazzo che ha gridato al lupo una volta di troppo, Kaufman deve insistere per convincere coloro che lo circondano che, per una volta, fa sul serio… 

La prestigiosa rivista Entertainment Weekly ha incoronato Man on the moon miglior film dell’anno 1999 e la pellicola fu ben accolta dalla critica internazionale, nonostante manchi – ed è importante a mio avviso sottolinearlo – una riflessione approfondita sul film. Gli addetti ai lavori si sono soffermati soprattutto sull’eccentricità di Kaufman, sulla veridicità degli episodi raccontati nel film, oppure hanno paragonato Man on the Moon al precedente Larry Flynt (con cui condivide la coppia di sceneggiatori Alexander-Karaszewski). Ma così facendo hanno perso di vista il punto essenziale: a mio avviso, Forman fornisce la chiave di lettura fin dal prologo con la non convenzionale entrata in scena di Jim Carrey che sale sul palco e annuncia con la voce di uno dei personaggi che hanno reso celebre Kaufman “Ciao. Sono Andy e vorrei ringraziarti per essere venuto al mio film”. Poi nota come il risultato finale non abbia incontrato la sua approvazione, per decidere di modificarlo fino a che non rimane nulla e scorrono i titoli di coda… 

Una finzione nella finzione insomma, che riproduce in qualche modo la sovrapposizione tra vita e commedia che ha caratterizzato il lavoro di questo non convenzionale attore comico. Nel corso della sua carriera Kaufman è andato ben oltre l’annullamento della distanza tra palcoscenico e pubblico che ha contraddistinto le sue prime esibizioni e Forman tratta la materia biografica a disposizione per offrire una divertente, appassionata e commovente riflessione sull’illusorietà̀ della vita e la sua “teatralità̀”. Kaufman propone alla fidanzata di inserire in una burla la sua proposta di matrimonio, salvo poi arrendersi all’imprevisto dell’intromissione di un campione di wrestling che gli rovina i piani. Ma l’inganno si rivela doppio perché anche la donna scopre che si tratta di una messa in scena, creata ad arte da Andy con la complicità del lottatore per sorprendere ancora una volta il pubblico. Kaufman scherza perfino sul cancro che lo sta uccidendo, al punto che le persone più vicine non gli credono all’annuncio della sua malattia. 

La scelta di affidare a Jim Carrey un personaggio così controverso si rivelò azzeccata e l’attore – dopo The Truman Show (1998) – mise un altro tassello per emanciparsi dall’immagine di comico demenziale conquistando un altro Golden Globe (questa volta come miglior attore protagonista in una commedia) dopo quello dell’anno prima. Jim Carrey fa un lavoro meticoloso nel ricreare i modi e il linguaggio del corpo giusti, e una quantità sorprendente di tempo sullo schermo è dedicata alla messa in scena dei vecchi pezzi di Kaufman: l’imitazione di Elvis, il wrestling e il pezzo “Il grande Gatsby. Si dice che Edward Norton e Kevin Spacey fossero gli altri due attori in lizza, ma credo che la versione di Kaufman vista sullo schermo non autorizzi rimpianti. Nel nostro paese la critica appoggerà in- condizionatamente questa intuizione, evidenziando la perfetta fusione tra il lavoro di Forman e quello di Carrey. Le stravaganze dell’attore sul set confermano inoltre le sue capacità mimetiche. Dalla richiesta di avere due spogliatoi a disposizione per le riprese (uno per Andy Kaufman e l’altro per Tony Clifton, tra i quali alternava l’identità durante le riprese), al travestimento da gelataio con cui – secondo la rivista Hollywood Reporter – si presentò il primo giorno per cercare di vendere il gelato a tutto lo staff, Jim Carrey, nonostante lo snobismo dell’Academy Awards, emerge trionfalmente da questa nuova prova di recitazione affermandosi quale oscar virtuale: inevitabilmente gli viene riservato lo stesso trattamento che fu di Andy. E intanto Milos Forman, con la collaborazione degli sceneggiatori di Ed Wood, firma un altro capolavoro. 

Nel cast compaiono ben cinque attori de Qualcuno volò il nido del cuculo. Oltre al fedelissimo Vincent Schiavelli e a Christopher Lloyd nella parte di sé stesso, Sydney Lassick, Marya Small e Danny DeVito. Quest’ultimo in particolare merita una citazione speciale nella parte di George Shapiro, amico e agente di Kaufman. Accettando questo ruolo, DeVito (nel caso di Man on the Moon anche produttore) dovette rinunciare a comparire nelle clip che ricostruiscono la sit-com Taxi, di cui fu uno dei volti. Una menzione speciale la merita anche Courtney Love, alla seconda collaborazione con Forman che evidentemente deve averne apprezzato le doti in Larry Flynt, che veste i panni di Lynne Martoulis, la ragazza di Andy Kaufman. 

Autore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Trending