Leonora Eames (Barbara Bel Geddes), una giovane donna dal temperamento da sartina, immagina di farsi strada nel “grande mondo” sfogliando riviste di moda. Dopo una vita di risparmi per frequentare corsi per diventare modella, conosce un ricco industriale, Smith Ohlrig (Robert Ryan), che sposa. Ma il suo ricco marito è molto distante dall’offrire a Leonora la vita di sogni che immaginava, mostrando una severità e un autoritarismo che rasentano la violenza. A volte arrivando al punto di umiliare sua moglie di fronte ai suoi dipendenti, Ohlrig si rivela un uomo nevrotico con un forte complesso di superiorità che considera tutti coloro che lo circondano come parte dei suoi beni materiali. Leonora, non potendo più tollerare il suo status di donna sottomessa e costretta, fugge dalla sua prigione dorata e, tornata in città, trova lavoro come segretaria medica nello studio del modesto dottor Quinada (James Mason), uomo di alta statura morale e poco interessato al denaro, di cui finisce per innamorarsi.
Per uno spettatore che scopre Max Ophüls con Presi nella morsa (Caught, 1949, anche noto in Italia con il titolo Nella morsa), l’incontro con questo grande cineasta avrà un che di disorientante, stante la formidabile e meritata reputazione acquisita da questo virtuoso regista che ha fatto la storia del cinema, sebbene Presi nella morsa rispecchi appieno il gusto di Ophüls almeno per i melodrammi ingannevolmente leggeri e i personaggi di donne in cerca di amore. È con piena consapevolezza della travagliata vicenda produttiva che bisogna apprezzare la particolare esperienza americana costituita da Presi nella morsa, perché il film si rivela interessante sotto più di un aspetto, e riesce a esporre con piccoli tocchi le cifre romantiche e stilistiche del cinema di Max Ophüls, così come la sua grande capacità di adattamento e di lavoro, sforzo elogiato da tutti i suoi collaboratori .
Film indipendente (una produzione Enterprise) distribuito dalla MGM, Presi nella morsa era stato inizialmente progettato per Ginger Rogers tre anni prima. Dopo numerosi cambiamenti e disaccordi artistici e finanziari, il progetto finì nelle mani di Ophüls grazie al produttore Wolfgang Reinhardt. Il lavoro del regista e dello sceneggiatore Arthur Laurents abbandona in gran parte il materiale originale, una storia d’amore romantica, per fare del loro film una sorta di “quadro di donne”, un sottogenere molto popolare nella Hollywood all’epoca. Senza dimenticare il volontario riferimento a Howard Hughes attraverso il personaggio del miliardario egocentrico e capriccioso Smith Ohlrig (interpretato da un grande Robert Ryan, sempre a suo agio in questo genere di ruoli ambigui e mai così odioso), che Max Ophüls utilizza per vendicarsi indirettamente del produttore che l’ha licenziato durante la lavorazione de La vendicatrice (Vendetta), il regista si ammalò poco prima del primo ciak e l’Enterprise affidò l’interim a John Berry che si occupò delle riprese per due settimane prima di essere sostituito da Ophüls. Poco male: la discontinuità stilistica del film non si vede davvero, grazie soprattutto al lavoro del grande direttore della fotografia Lee Garmes (Scarface, Shanghai Express, Duello al sole o Il caso Paradine).
Se raramente ritroviamo lo stile barocco del cineasta e i suoi leggendari arabeschi visivi, Presi nella morsa si fa apprezzare per l’ingegnosità dell’equilibrio di potere tra i due personaggi maschili visti attraverso le scenografie e, dall’altro, la sottile oscillazione tra l’iniziale sogno di Leonora e il suo crudele ritorno alla realtà. Il dottor Quinada e il miliardario Smith Ohlrig si muovono attraverso luoghi che rafforzano la loro psicologia: la telecamera si snoda attraverso l’angusto studio medico di Quinada, pulsante di vita e calore, mentre Ohlrig infesta freddamente la sua abitazione, una casa gigantesca filmata con lunghe carrellate laterali e corte lunghezze focali che rafforza la sensazione di isolamento e schiacciamento (e ricorda la Xanadu di Quarto potere!).
Leonora, dal canto suo, non viene trattata con tutta l’empatia a cui è abituato il cineasta. Ophüls segna una distanza oggettiva nei confronti di un’eroina che non troviamo in nessun altro dei suoi film e facilita il passaggio tra la cronaca sociale e il racconto crudele in cui è intrappolata la giovane sognatrice. Barbara Bel Geddes riesce perfettamente a farci percepire tutta l’agitazione di una simile situazione e l’ingenua ossessione che la tormenta, fino al profondo sgomento derivante dal suo intimo confronto con una realtà da incubo (la fotografia del film si oscura man mano la storia procede). Se Presi nella morsa è spesso visivamente legato al noir, molto raramente ne ha il potere espressionista: l’eterna malinconia e l’elegante vaghezza dell’anima che lo stile di regia di Ophüls generalmente traduce difficilmente possono prosperare nel genere noir. Il cineasta riesce ad andare oltre il genere e a fare di questo film un’opera personale rimanendo più o meno fedele al suo linguaggio.
La carriera di Max Ophüls negli Stati Uniti è spesso sottovalutata. I pochi film realizzati (quattro) e la loro scarsa fama (a parte Lettera da una sconosciuta) sembrano dimostrare che Ophüls non riuscì a integrarsi a Hollywood. Se dobbiamo infatti ammettere che il cineasta ha vissuto più disavventure e disillusioni che evidenti successi, possiamo anche notare che è riuscito a volte a infondere il suo stile in film di cui non ci aspettavamo fosse lui il responsabile del progetto. Se Presi nella morsa non è stato originariamente preparato da Max Ophüls, il tema dello scontro tra chimere e realtà corrisponde a ciò che il regista ha più volte affrontato nei suoi lavori passati o futuri, così come il progressivo disincanto che vede sorgere un falso “lieto fine” attraverso un aborto spontaneo che risolve drammaticamente il problema.
Disponibile gratuitamente su YouTube, Presi nella morsa è in definitiva un film di cui consiglio la visione
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