Quando ero ventenne, Walter Benjamin (1892-1940), e in particolare L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, di cui Feltrinelli ha ripubblicato quest’anno le cinque stesure, scritte tra l’autunno del 1935 e l’estate del 1936, fu una delle mie letture reiterate e predilette. Figlio indisciplinato e renitente di un grand seigneur, uomo sfortunatissimo e totalmente sprovvisto di senso pratico, marxista eterodosso e libertario, filosofo atipico e sincopato, indagatore della modernità capitalista, critico letterario sopraffino, traduttore di Baudelaire e Proust, teorico rivoluzionario molto sui generis, scrittore asistematico, ma saggista eccelso, Walter Benjamin, classe 1892, è una delle figure intellettuali più originali, inclassificabili e poliedriche del Novecento.
Il 2024 è l’anno di Franz Kafka (centenario dalla sua morte) e di Benjamin, che allo scrittore praghese autore de La Metamorfosi e Il processo ha dedicato una serie di saggi pubblicati da Feltrinelli nel 2024. Come L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, il “titolo” più famoso di Walter Benjamin insieme ad Angelus Novus, antologia, pubblicata per la prima volta nel 1962 da Einaudi, che raccoglie i testi più rappresentativi, dai saggi filosofici “Per la critica della violenza”, “Destino e carattere”, “Sulla facoltà mimetica”, a quelli più letterari su Baudelaire, Kafka e Goethe: una forma di saggistica in cui le «affermazioni sulla vita» non possono prescindere dall’analisi di un determinato «paesaggio culturale» (il saggio sulle Affinità elettive di Goethe vira verso il trattato sull’amore e sul matrimonio nell’epoca moderna). Non è semplice collocare criticamente la figura di Walter Benjamin: non è uno scrittore facile, la sua originalità di pensatore e la sua opera (saggi teoretici, aforismi, impressioni di viaggio, ricordi) sembrano reinterpretare la storia, la filosofia e letteratura nella loro accezione corrente. In altre parole, non è un filosofo in senso stretto né uno storico e nemmeno un narratore o un poeta. È un saggista nel significato più alto del termine.
Il libro di Paolo Pagani è un mix di saggio e narrazione, incentrato sulle peregrinazioni europee di Benjamin, in miriadi di località comprese tra Germania, Francia, Spagna, Italia e Scandinavia. Da Berlino a Port-Bou. Il libro contiene un capitolo intitolato “Tappe principali e date del girovagare europeo del peripatetico Walter Benjamin”. Fra i luoghi italiani spiccano: Milano, Como, Verona, Vicenza, Venezia, Padova (1912), Napoli, Positano, Roma, Pisa Firenze, Perugia, Orvieto, Assisi (1924) e l’anno dopo Genova, Rapallo e Portofino, fino a Napoli. Nel 1926 è a Parigi, dov’era stato la prima volta nel 1913. Il 1927 lo vede addirittura a Mosca. Tre anni dopo, nel 1930, si spinge in Scandinavia e al Circolo Polare Artico. Il 19 marzo 1933 trasferimento definitivo in esilio a Parigi. Nel 1940 ultimi viaggi a Lourdes, Marsiglia e Port-Bou, nella Catalogna, dove nello stesso anno morì suicida e ancora oggi è seppellito. E dire che Walter Benjamin aveva un fisico tutt’altro che atletico e soffriva anche di cuore.
La formidabile attualità di un lavoro teorico che ha precorso i tempi come L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, e che perciò non smette di interpellarci a quasi un secolo di distanza, suggerisce una riflessione nell’epoca hi-tech degli Nft che hanno lungamente occupato le cronache culturali degli ultimi anni. Per Nft, acronimo di “Non-fungible token”, si intende un sistema di certificazione, una rigida garanzia di unicità, vale a dire di assoluta non duplicabilità di un prodotto artistico esclusivamente digitale. Video, immagini, file di testo o brani musicali non duplicabili, che sono certificati come assolutamente unici tramite una tecnologia ad hoc denominata blockchain. Il punto centrale è che gli Nft non possono essere normalmente copiati come ogni file digitale, come si fa con una canzone o un file digitale qualunque. Bisogna acquistarli, se disponibili. Con l’utilizzo eventuale delle criptovalute, sistemi monetari che vengono resi sicuri grazie a programmi di crittografia.
“Cosa c’entra Benjamin? Semplice. Fu lui il primo, in quel breve ma denso saggio dal titolo chilometrico, a pensare che, all’inizio del Novecento, l’apparizione repentina di nuove tecniche per riprodurre su stampa e poi diffondere a livello di massa le opere d’arte stava trasformando radicalmente l’atteggiamento verso l’arte. Sia degli artisti, sia del pubblico. La riproduzione diffonde in modo seriale l’opera d’arte. Sottraendole così quell’autenticità sacrale che, in passato, costituiva la sua caratteristica fondamentale”. La riproduzione dell’opera d’arte (includiamo anche la musica e la letteratura) è alla base della cultura di massa.
Il cortocircuito degli Nft
Continua Paolo Pagani: “Walter, in altre parole, si riferiva all’unicità di un’opera fisica conservata in un museo, o a una sinfonia suonata in un teatro, per ammirare lei quali ci si doveva per forza recare fisicamente al loro cospetto. Lì stava custodita l’aura. Le fotografie, le riproduzioni che il mercato massificato mette in commercio nei cataloghi, o nelle app sui cellulari, hanno fatto definitivamente smarrire quella sacralità originaria. L’arte, insomma, si riduce fatalmente a elemento di svago e non è assolutamente più strumento di conoscenza del mondo nell’epoca del capitalismo borghese. Eppure, tu guarda: è qui che si verifica l’imprevedibile cortocircuito. Sono gli Nft a mettere in discussione la differenza tra arti riproducibili e non riproducibili teorizzata da Benjamin novant’anni prima. Al giorno d’oggi è dunque il capitalismo, tramite la ferrea logica mercantile dell’esclusività del possesso digitale, a garantire l’unicità del prodotto artistico anziché provocarne la massificazione desacralizzante”.
Sulle tracce di Walter Benjamin, filosofo randagio per vocazione prima ancora che per necessità, intellettuale raffinatissimo e poliedrico, capace di interessarsi a una “costellazione di temi solo in apparenza inconciliabili: il messianismo teologico, i giocattoli, i romanzi gialli, l’arte, il dramma barocco tedesco, la radio, la fotografia, i nuovi media, le esperienze allucinogene con gli stupefacenti, le città e i loro misteri nascosti benché eloquenti”. Eppure incamminarsi con lui attraverso le sue esperienze, i suoi nomadismi, il suo pensiero spesso impervio e anticipatore significa non soltanto seguire il dipanarsi di un’esistenza ma anche fare un tour cartaceo dentro a una stagione storica che va dagli inizi del Novecento allo scoppio della seconda guerra mondiale. Significa incontrare Benjamin, dunque, ma anche le idee della sua epoca, gli ingegni del suo tempo: da Ernst Bloch a Theodor Adorno e Max Horkheimer a Bertolt Brecht, da Hannah Arendt a Joseph Roth e moltissimi altri. Il cammino che Pagani ha percorso passo per passo non poteva che cominciare dalla fine, dalla stanza numero 4 dell’hotel di Port-Bou al confine tra Francia e Spagna dove intorno alle dieci di sera del 26 settembre 1940 sopraffatto dalla tragedia della storia e dalle assurdità degli uomini il dottor Walter Benjamin ingoia una dose letale di pillole di morfina e muore.
Paolo Pagani, In cammino con Walter Benjamin. Il naufragio di un genio e le idee della sua epoca. Neri Pozza Bloom, 2024,
Walter Benjamin, Franz Kafka, Universale economica Feltrinelli, 2024
Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (edizione integrale), Universale economica Feltrinelli, 2024
Walter Benjamin, Angelus Novus, Einaudi, 2014
Walter Benjamin, Tolgo la mia biblioteca dalle casse e altri scritti su bibliofilia e collezionismo, a cura di Ginevra Quadrio Curzio, testo tedesco a fronte, La Vita Felice, 2024
Hanna Arendt, Walter Benjamin, SE, 2018
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