Nel ricco panorama culturale dell’inizio del secolo scorso splendeva la stella luminosa di un giovane scrittore che avrebbe segnato l’intera letteratura del Novecento: I Buddenbrook (1901) già alla seconda edizione superavano in Germania le 10.000 copie vendute (sarebbero state oltre 100.000 alla fine della Prima Guerra Mondiale) e l’immensa fortuna del romanzo aveva segnato il distacco del suo autore dalla pletora di piccoli artisti, aspiranti geni e semplici dilettanti che affollavano Monaco di Baviera, a quel tempo opulenta capitale della vita artistica tedesca. A soli 25 anni Thomas Mann era diventato una star e, pochi anni dopo la pubblicazione del suo primo capolavoro, il matrimonio con l’altoborghese slesiana Katja Pringsheim sancì il suo status sociale.

La vita coniugale tra il genio di Lubecca e la sua sposa “principessa” (secondo una definizione dello stesso Mann) fu tutt’altro che facile e dovette fare fronte a gravi problemi quali i frequenti ricoveri della donna afflitta da una malattia polmonare, la severa conduzione della vita domestica che lo scrittore, di personalità dispotica e forte di un ruolo dominante, imponeva alla moglie, i contrasti tra Thomas e il fratello Heinrich e il figlio Klaus, il suicidio di quest’ultimo, la fuga dalla Germania nazista e via elencando. Di entità minore ma comunque imbarazzante per lo scrittore è da annoverare un episodio di sicuro interesse storico per i lettori perché riguarda da vicino un racconto di Mann.

Lo scrittore con la moglie Katja

Sangue Velsungo (Wälsungenblut) è, per citare le parole dell’autore, la “novella di una coppia di gemelli disperati e della confusione dei sentimenti generati da lusso, solitudine e odio”, su due fratelli dell’alta borghesia berlinese (non per niente ci si riferisce alla novella con l’appellativo Tiergartennovelle), i giovani Siegmund e Sieglind eredi della famiglia ebrea milionaria Aarenhold, e il loro incesto consumato alla vigilia delle nozze della ragazza. Poche pagine, circa una trentina, che si collocano in modo perfettamente coerente all’interno della poetica dell’autore, aggiungendo un tassello alla sua riflessione sul ruolo dell’arte chiamata, sulla scorta delle teorie nietzschiane, a essere strumento di conoscenza o a perdersi in falsa consolazione estetizzante. Ma è soprattutto Wagner, fortemente amato dal giovane Mann, la grande figura sullo sfondo: a partire dal titolo, che fa riferimento alla vicenda dell’amore tra i fratelli discesi dal dio Wotan svolta dal musicista nella Valchiria, fino alla rappresentazione dell’opera a cui i due Aarenhold assistono e da cui traggono la suggestione necessaria per consumare il loro amore. 

Richard Wagner

Ma, all’interno di una bibliografia ampia come quella di Mann, l’importanza di Sangue Velsungo è legata soprattutto alla sua curiosa vicenda editoriale e allo scandalo di cui fu oggetto. Nell’autunno del 1905 è tutto pronto per la pubblicazione su Neue Rundschau, la più prestigiosa rivista tedesca, avendo lo scrittore perfino interpellato il suocero per la chiusa della novella per farsi suggerire un termine jiddisch che significasse “ingannare”. Il racconto è stato sottoposto dall’autore al giudizio della suocera e del cognato Klaus, quest’ultimo addirittura lusingato dalle somiglianze che ha riconosciuto tra sé e il protagonista Siegmund, che non hanno riscontrato nulla da ridire. L’unica critica ricevuta dal redattore O. Bie spinge Thomas Mann a sostituire il finale in jiddisch giudicato un po’ brutale con quello attuale. Tuttavia circolano delle prove di stampa erano circolate che finiscono come carta da imballo in una libreria di Monaco dove un commesso si precipita a diffondere il pettegolezzo – probabilmente alimentata dall’invidia del noto scrittore F. Blei – che l’autore de I Buddenbrook si era vendicato delle angherie subite dalla famiglia della moglie durante il fidanzamento diffamando i Pringsheim. Voci pittoresche si rincorsero, aggravate dall’accusa di immoralità e antisemitismo1, e sulla vicenda restano ancora oggi punti da chiarire. In una lettera al fratello Heinrich, Thomas Mann si chiede che cosa avrebbe dovuto fare: “ho esaminato mentalmente la mia novella e trovato che nella sua innocenza e indipendenza non era certo molto adatta a soffocare le dicerie. Devo riconoscere che dal punto di vista umano-sociale non sono più libero. Perciò ho inviato alcuni imperiosi telegrammi a Berlino e ottenuto che il numero di gennaio della Rundschau, già bell’e pronto, uscisse senza Wälsungenblut2.

Per fortuna nostra il tempo del rogo dei libri non è ancora giunto in Germania e la novella non finisce perduta. Nel 1908 Mann ne invia una copia a Arthur Schnitzler “fresco anche lui di scandalo per aver ritratto nel suo Der Weg ins Freie (Verso la libertà) persone reali e riconoscibili”3 e nel 1921 ne autorizza una edizione bibliofila con finale emendato. Gli scandali ritorneranno dieci anni più tardi al momento della traduzione in Francia e, ancora una volta, Mann interverrà direttamente per placarli. Ormai però Sangue Velsungo aveva ripreso a circolare e nessuno avrà più da obiettare nulla sulla sua pubblicazione.


1 Nella prima versione del finale “Che cosa ne sarà di lui? Fregato l’abbiamo, il cristiano!” rispondeva Siegmund alla sorella che gli chiedeva che cosa ne sarebbe stato del promesso sposo Beckerath. 
2 Citazione riportata in Anna Maria Carpi, Introduzione in Sangue Velsungo, Marsilio, Venezia 1989 – pag. 27
3 Ibid. – pag. 28

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