Il film si apre in una grande città europea, immersa nella nebbia. Un uomo (Marcello Mastroianni) arriva nel luogo per motivi misteriosi. Forse è un fotografo, forse un giornalista, forse un uomo in fuga. La sua identità non è del tutto chiara, ma il suo arrivo segna l’inizio di una serie di eventi che mescolano sogno e realtà.

Lo sconosciuto si trova casualmente ospite di un circo itinerante, una carovana di artisti stravaganti che viaggiano di città in città. Hitchcock, ispirandosi a Fellini, presenta una serie di personaggi dal passato tormentato e inquietante. C’è la donna trapezista (Anita Ekberg), un’artista che fluttua tra il mondo dei vivi e quello dei morti; un clown solitario (Giulietta Masina, che ripropone una figura triste e introspettiva); e il direttore del circo, un uomo enigmatico e ambiguo (Anthony Perkins), la cui presenza inquietante permea ogni scena.

Il protagonista inizia a percepire che il circo è molto più di un semplice spettacolo. Inizia a sospettare che le performance siano in realtà rituali oscuri e che il destino degli artisti sia segnato da una forza maligna invisibile.

Hitchcock lavora sugli elementi Felliniani più immediati. Innanzitutto, sogno e realtà, la cui linea di demarcazione è alquanto sottile. Il “re del brivido” allestisce sequenze surreali che mostrano scene oniriche, come una giostra che gira all’infinito, circondando il protagonista, che sembra essere attratto dalla sua folle spirale. E immagini ricche di simbolismo, come l’apparizione di un gigantesco elefante che attraversa la città guidato da uno sceicco bianco (Alberto Sordi, in un’apparizione speciale), accolto come una visione sacra.

Mistero e solitudine sono gli elementi cardine della messinscena: i personaggi sono spesso soli, persi in una realtà che sembra mutare continuamente, e la follia è un tema ricorrente. Il circo diventa la metafora per un mondo che sfida la logica, dove ogni visione e ogni incontro diventano fonte di incertezze. Il protagonista cerca di capire se stesso, ma finisce per perdersi nel processo, perché la presenza del circo si fa sempre più deformata, e culmina in una scena surreale dove l’uomo si trova davanti a uno specchio che lo riflette come una versione distorta di sé.

Hitchcock ovviamente calca il pedale della suspense psicologica, l’atmosfera di pericolo imminente è palpabile. Il protagonista radica sempre più la convinzione che c’è qualcosa di profondamente sbagliato nel circo, ma non riesce mai a ottenere prove concrete. La tensione cresce quando scopre che ogni singola persona nel circo potrebbe essere coinvolta in un crimine misterioso. Ecco, allora, l’esplosione di ossessione e paranoia. Il Circo delle ombre si sviluppa intorno a un mistero che, più il protagonista cerca di svelare, più si trasforma in una spirale di delirio coerente. Ogni gesto, ogni parola degli altri membri del circo sembra nascondere qualcosa. Le persone diventano inaffidabili, e il protagonista finisce per dubitare di sé stesso e sempre di più di chi lo circonda.

Fino al colpo di scena finale: Hitchcock ribalta completamente la comprensione della trama. L’uomo scopre che l’intero contesto è una trappola. Le persone che credeva essere vittime o colpevoli sono in realtà protagonisti di un gioco psicologico che ha avuto inizio molto prima del suo arrivo. La città intera, alla fine, si rivela come una scena teatrale, una prigione esistenziale da cui è impossibile fuggire.

Fotografia decadente: nebbia, luci tenui, ombre lunghe e distorte, tipiche di un mondo che sembra fuori posto. Di Fellini rimangono paesaggi visivi spettacolari, ma alienati. Mentre Hitchcock lavora maggiormente sul montaggio e la colonna sonora, per creare un senso di minaccia che si fa crescente mentre la trama avanza.

Il Circo delle Ombre è una fusione unica dei mondi cinematografici di Federico Fellini e Alfred Hitchcock, in cui la magia visiva e il surrealismo psicologico del primo incontrano il mistero e la suspense inquietante del secondo. Un thriller che esplora temi di identità, destino e alienazione, e che lascia lo spettatore sbigottito con la sensazione di aver assistito a qualcosa di straordinariamente profondo, ma anche disturbante.

Prossimamente in tutte le sale cinematografiche di prima visione.

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