Nel 1983 a Cindy Paulson, una prostituta minorenne di Anchorage, in Alaska, furono offerti 200 dollari per il sesso orale. Poche ore dopo, divenne l’ultima vittima di Robert Hansen, rapita e violentata; riuscì tuttavia a sfuggirgli, mentre lui si preparava a portarla in una capanna in mezzo alla foresta, per liberarla e poi spararle come in una battuta di caccia. Tra il 1971 e il 1983, Hansen uccise una ventina di donne usando questo metodo, solo Cindy Paulson riuscì a scappare. Il cacciatore di donne (The frozen ground, 2012) racconta la storia di Robert Hansen, della sua vittima sopravvissuta e di Glenn Flothe (ribattezzato nel film Jack Halcombe), l’agente di polizia che ha portato all’arresto dell’assassino.

L’opera prima di Scott Walker non è certamente gran cinema, ma vale la pena di essere guardata con vero interesse per l’ora e tre quarti di intrattenimento che riesce a garantire. All’epoca della sua realizzazione il regista aveva all’attivo solo il cortometraggio Ordan’s Forest (2005) realizzato nel Regno Unito: un lavoro che riscuote un discreto successo e che lo stesso Walker considera la sua “scuola di cinema” ma che non riesce a garantirgli né la notorietà né visibilità continua al suo nome. Non che le cose dopo vadano molto meglio, nonostante il fiore all’occhiello de Il cacciatore di donne con una produzione da 27 milioni di dollari e un cast di classe. 

L’idea al centro del progetto inizialmente era quella di raccontare la storia di uno spietato serial killer concentrandosi su un solo aspetto drammatico. In fase di revisione della sceneggiatura, uno dei collaboratori del regista ravvisò tuttavia forti analogie con la vicenda dello psicopatico dell’Alaska Robert Hansen portando a una riscrittura totale. Per comprendere meglio il dramma, Walker incontra i protagonisti della storia, li intervista, e presenta addirittura la vera vittima Cindy Paulson all’attrice che l’avrebbe interpretata Vanessa Hudgens. Il metodo si rivela giusto. Il film si apre con una breve sequenza in cui gli agenti di polizia di Anchorage trovano Cindy, piangente e con i polsi insanguinati: il tono è impostato fin dai primi secondi, e non si muoverà di una virgola. Forse a volte c’è un po’ troppo pathos, ma la trovata di rendere la vittima il personaggio principale, cosa abbastanza rara nei film di serial killer, è abbastanza azzeccata: bisogna riconoscere che Walker si muove sempre senza esuberanza e vero senso della misura.

Per quanto riguarda gli attori, non c’è nulla da rimproverare a nessuno: Nicholas Cage è molto bravo nei panni dell’onesto poliziotto per il quale la vita è solo una lunga prova, John Cusack convince come un mostro dalla doppia faccia, Vanessa Hudgens offre un prestazione notevole e perfino la brava Radha Mitchell nella parte della moglie di Halcombe meriterebbe un ruolo più ampio. Eppure Il cacciatore di donne è tutt’altro che perfetto e contiene molti difetti soprattutto dal punto di vista tecnico. Il montaggio appare in più occasioni formattato secondo un modello televisivo: consapevole di questa mancanza, il regista la attribuì ai tagli imposti, rivelando in un’intervista che la durata originale era di circa 2 ore e 15 minuti, poi ridotta a due ore, per arrivare infine a un’ora e quaranta minuti. È facile immaginare, guardando il film, quali scene siano incomplete e ci si trova ad avvertire il vuoto e la frustrazione in relazione a questa mancanza. Non è facile per un produttore fidarsi di un regista quasi inesperto!

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