Montreal, Canada 1981: Colt Hawker (Michael Ironside), uno psicopatico omicida e misogino (da bambino rimase traumatizzato da un evento orribile: sua madre che versava olio bollente su suo padre mentre lui voleva semplicemente fare l’amore: da adulto, nutrirà un odio assoluto verso le donne.), gestisce gli studi televisivi dove una sera durante uno spettacolo la giornalista attivista Deborah Ballin (Lee Grant) denuncia la violenza contro le donne. Cerca di ucciderla a casa sua. Quando viene a sapere che, ferita al punto da aver bisogno di un intervento chirurgico, è ricoverata al County General Hospital, decide di entrarvi a tutti i costi per finirla…
Ex editorialista televisivo, il quebecchese Jean-Claude Lord si lanciò nel cinema all’inizio degli anni ’70, producendo una serie di piccoli film autoprodotti su temi sociali delicati (populismo, corruzione, ecc.) che suscitano poi numerose controversie e polemiche. All’inizio degli anni ’80, decise di cambiare registro dedicandosi al cinema di genere.
E così firma Delitto al Central Hospital (Visiting Hours, 1982) uno dei migliori “B thriller” canadesi, influenzato dalla struttura narrativa del cacciatore che insegue tenacemente la preda che caratterizzava Halloween – La notte delle streghe e Venerdì 13: il suo ricorrente eccesso visivo e l’elevata violenza lo avvicinano in diverse occasioni a questi due cult slasher. Una sceneggiatura di precisione millimetrica, una suspense fatta di colpi di scena a volte segnati da un’ironia molto cupa e un notevole realismo per quanto riguarda la direzione artistica e le ambientazioni. Ancora una volta nella storia del cinema fantastico, la criminalità psicopatologica fornisce la materia per un’opera visivamente originale. Slasher discretamente citazionista (l’ombra di Psycho incombe pesantemente sulla prima scena dell’aggressione), è abbastanza classico nella sua costruzione, con questo inquietante killer che riesce sistematicamente a contrastare i sistemi di sicurezza per infiltrarsi dove meno lo si aspetta. Un’opera che si distingue soprattutto per l’accuratezza psicologica dei personaggi (e in particolare sul piano dell’impotenza sessuale e frustrazione della personalità dell’assassino) e per il suo sottotesto politico-sociologico, che denuncia in modo appena velato la società maschilista e la violenza contro le donne, per di più quando affermano coraggiosamente le loro convinzioni.
Lo psycho-killer è una creazione famosa e di grande effetto dell’attore Michael Ironside, subito dopo il suo mirabile ruolo in Scanners (id., 1981) di David Cronenberg, sempre prodotto da Pierre David e Claude Héroux. Sorprendente la descrizione del suo assassino, una montagna di muscoli rivestiti di cuoio, trafitti, borchiati e sempre muto. La perfetta incarnazione del sadomasochismo, insensibile al dolore arrivando al punto di mutilarsi un braccio per farsi ricoverare al pronto soccorso. Ironside lavora sul lato oscuro e malsano di questa macchina per uccidere, che prova un piacere sadico e perverso nell’ammirare l’agonia delle sue vittime e nel fotografarle, contemplando le sue foto.
Inoltre, attrici notevoli, prima fra tutte la star Lee Grant senza dimenticare l’infermiera Linda Purl e la statuaria Lenore Zann. L’attacco notturno all’infermiera a casa sua è una grande lezione di regia che avrebbe incuriosito Fritz Lang per il suo grande rigore visivo (Ironside si nasconde nel soggiorno dell’infermiera sapendo della sua presenza, l’inquadratura è sottilmente orientata verso l’armadio ma l’assassino emerge da sotto il tavolo impalando la sua vittima, con un’insistenza di ripresa indiscutibilmente sadica). La fotografia di René Verzier utilizza angolazioni basse con ampiezza ininterrotta negli esterni, precisione costante negli interni: un lavoro molto efficace. L’inquadratura in cui Michael Ironside nasconde un coltello a serramanico dietro la schiena mentre la porta dell’ascensore si chiude probabilmente ha ispirato l’inquadratura molto ravvicinata in cui Brian Thompson nasconde il proprio coltello nell’ascensore in Cobra (id., 1986), di George P. Cosmatos. Così come la donna che si rifugia nel montacarichi della lavanderia e l’assassino la tira su tirando la corda si rivedrà in Halloween – 20 anni dopo (Halloween H20: 20 Years Later, 1998), di Steve Miner. Insieme a Un violento week-end di terrore (Death Weekend, 1976) di William Fruet, una delle vette del cinema di violenza canadese del periodo.
Rimangono alla memoria la bellissima scena iniziale in cui l’eroina viene braccata senza pietà in casa e la sequenza finale in cui viene inseguita per i corridoi dell’ospedale, anche se Lord accumula qualche implausibilità. L’ospedale pullula di agenti di polizia ma la sfortunata donna percorre chilometri di corridoi senza che nessuno intervenga.
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