C’è un passaggio in Cape Fear (1991, regia di Martin Scorsese) nel quale Max Cady, il crudele delinquente pluri-tatuato uscito di galera, interpretato da Robert De Niro, chiede alla figlia dell’avvocato Sam Bowden (l’attore è Nick Nolte) se ha mai letto la Crocifissione in Rosa, cioè la trilogia di Henry Miller: Plexus, Nexus, Sexus.
È uno dei più noti omaggi del cinema contemporaneo a Henry Miller (Yorkville NY 1891 – Big Sur 1980), uno dei più grandi scrittori americani, più apprezzato in Europa che nel suo paese di nascita, come ha ricordato Emilio Gentile a Passato presente, nella puntata del 24 ottobre 2023. All’American Way of Life è dedicato – in toni tutt’altro che elogiativi – uno dei più bei libri di Henry Miller, Incubo ad aria condizionata, di cui ultra-consigliamo la lettura.
Un altro cameo cine-milleriano è all’inizio di Fuori orario, (1985, sempre di Martin Scorsese): Paul Hackett è un programmatore di computer che in realtà vorrebbe fare altro nella vita. Non riesce a dormire e nel bar che frequenta abitualmente intreccia una conversazione con la femminilissima Marcy Franklin interpretata dalla deliziosa Rosanna Arquette, partendo da un libro che lei sta leggendo, il più famoso di Henry Miller, Tropico del Cancro: Marcy ripete una parte del celebre inizio: “Questo non è un libro. È libello, calunnia, diffamazione. (…) è un insulto prolungato, uno scaracchio in faccia all’arte, un calcio alla Divinità, all’Uomo, al Destino, al Tempo, all’Amore, alla Bellezza…a quel che vi pare” (la traduzione è di Luciano Bianciardi, l’autore de La vita agra, un fan di Miller da lui ribattezzato Enrico Molinari). Da quel causale incontro al bar comincia un’avventura tra il grottesco, il noir, il surreale, fatta di incontri improbabili, inseguimenti, furti, ritrovamenti. Sarebbe molto piaciuto a Miller.
Henry Miller è ancora oggi uno scrittore poco letto e studiato negli Usa. Non è una sensazione, è una conclusione accertata anche dal più recente e completo biografo di H. Miller, Arthur Hoyle (in Italia pubblicato da Odoya, 2014) che ha elaborato un questionario inviato ad alcune delle più importanti università americane. Eppure, H. Miller ha anticipato di trent’anni il ’68, il movimento Beatnik, il pacifismo, l’antimilitarismo e l’ambientalismo alla Greta Thurnberg, lo spiritualismo, la new age. Al centro del rinnovamento universale sta la presa di coscienza dell’individuo che deve puntare alla propria realizzazione, senza la quale nessuna rivoluzione è possibile. Miller è nel contempo un pessimista (molto influenzato da Nietzsche e Spengler) e un vitalista: la felicità si compie nel triangolo che ha come vertici il buon cibo, il sesso, e la cultura. Fuori da questo triangolo c’è il nulla disumano e frenetico della ditta cosmococcica, come Miller chiama l’azienda – la Western Union Telegraph Company di New York – dove ha lavorato come responsabile del personale una decina d’anni prima di andarsene in Francia e scoprire la sua vera vocazione di scrittore. L’ufficio e il tran tran come tomba intellettuale e sociale. È stato lui a teorizzarlo più di tutti.
La fama del primo libro di successo, il Tropico del cancro sdoganato dalla censura solo nel 1962 circa trent’anni dopo la prima edizione in Francia (1934), ha proiettato l’immagine negativa (e ingiusta) di scrittore erotofilo alimentata da un establishment ipocrita e moralista. Erano gli anni del maccartismo, della segregazione razziale, dell’America naziconsumista. In realtà Miller parla di sesso molto meno di quanto si creda: basta leggere libri come Max e i fagociti bianchi, Domenica dopo la guerra, Primavera nera, Plexus, Nexus, Incubo ad aria condizionata, I libri nella mia vita, Il Colosso di Maroussi, Il tempo degli assassini (dedicato ad Arthur Rimbaud), per citarne solo alcuni, dove di sesso non se ne trova neanche con il lanternino del bigotto castratore.
Vi consiglio di partire da Il meglio di Henry Miller, curato da Lawrence Durrell, lo scrittore inglese autore della Quadrilogia di Alessandria, amico di Miller e interlocutore di un famoso carteggio (I fuorilegge della parola, Lettere 1935-1980).
C’è un aneddoto molto bello e istruttivo su Henry Miller che riassume molto bene la sua poetica, all’altezza del Tropico del Cancro: lo racconta George Orwell nel saggio “Nel ventre della Balena” ampiamente dedicato a Henry Miller e al suo Tropico del Cancro. “Conobbi Miller alla fine del 1936, mentre passavo per Parigi diretto in Spagna. Ciò che più mi colpì in lui fu l’assoluta mancanza di interesse per la guerra di Spagna. Si limitò a dirmi in termini piuttosto energici che andare in Spagna in quel momento significava essere un idiota. Egli poteva capire che ci si andasse per motivi puramente egoistici, per curiosità, per esempio, ma ficcarsi in quel pasticcio in omaggio a un senso di responsabilità era un’idiozia vera e propria. In ogni caso le mie osservazioni sulla necessità di combattere il fascismo, difendere la democrazia, ecc. ecc. erano tutte fesserie. La nostra civiltà era destinata a essere spazzata via e sostituita da qualcosa di tanto diverso da non sembrarci nemmeno umano”.
Ecco, Miller profeta: adesso cominciamo a vedere cosa voleva dire: saremo spazzati via da qualcosa di inumano, sta già accadendo. E lui lo diceva nel 1936…
Lascia un commento