Letteratura, cinema, televisione, pubblicità. In questi quattro campi si è dispiegata l’attività di Marcello Marchesi (Milano 1912 – San Giovanni di Sinis 1978), giornalista, scrittore, sceneggiatore, regista, autore di innumerevoli testi per il cinema, la televisione, le canzoni, i caroselli e la pubblicità. Qualcuno potrebbe domandare: scrittore Marchesi? Non sarà una qualifica un tantino esagerata? A parte il fatto che ha scritto anche due romanzi, Il Malloppo (Bompiani 1971, nuova edizione 2013) e l’autobiografico Sette zie (Rusconi 1977, poi Bompiani 2001), Marchesi si è formato in un crogiolo culturale che è anche quello di Ennio Flaiano e Federico Fellini. Dopo un esordio letterario con poesie in romanesco (Aria de Roma, Milano, La Prora, 1933), a circa vent’anni Marchesi comincia a scrivere per il Bertoldo, mitico giornale satirico concorrente, milanese e rizzoliano, dell’omologo romano Marc’Aurelio. Al Bertoldo (1936-1943), progettato da Cesare Zavattini, diretto da Giovanni Mosca, coadiuvato da Vittorio Metz poi da Giovanni Guareschi, collaboravano, fra gli altri, Achille Campanile, Leo Longanesi, Mino Maccari, Carletto Manzoni, lo stesso Federico Fellini. Aggiungete a questi maestri anche Ennio Flaiano, e avrete un’idea di quello che fu il milieu in cui si formò Marchesi, “fra surrealismo e grottesco, gusto del paradosso e del calembour, residui futuristici e concessioni al gusto popolare, in un territorio dove l’umorismo scritto, l’avanspettacolo (il papà del nostro cabaret), il teatro e il cinema si mescolano inestricabilmente” come ricorda Gianni Turchetta nell’introduzione al Dottor Divago (Bompiani, 2013,prefazione di Gino&Michele) che raccoglie fra l’altro i 100 neoproverbi e le 111 definizioni del Chi sarebbe, definizionario di celebrità: Umberto Eco è “la pietra di Pappagone della cultura italiana”; Rossano Brazzi è il “latin pullover”. Luciano Bianciardi “Miller e una notte”. Renato Guttuso: “una picassata alla siciliana”. E Vittorio Gassman? Via col vanto. È di Marcello Marchesi la battuta Anche le formiche nel loro piccolo s’incazzano, che dà il titolo a un fortunato libro di Gino e Michele, uscito in prima edizione nel 1990. Il Dottor Divagoraccoglie capitoli di Essere o benessere, e de Il sadico del Villaggio, usciti, con “Diario futile di mezza età” nel 1962-1964 poi raccolti nel volume “Futile e dilettevole”. Fra i suoi neoproverbi: “La gallina che canta ha fatto il disco”, “Raglio d’asino vince il festival”, “Dimmi con chi vai e ti dirò se vengo anch’io”, “Meglio tardona che mai”, “Chi va con lo zoppo impara il twist”. E “la pubblicità è il commercio dell’anima”.
Ma torniamo un attimo indietro. Nel 1939 Marchesi viene chiamato da Mario Mattoli per realizzare il primo film comico italiano, Imputato, alzatevi, interpretato da Macario. L’attività giornalistica, cioè la collaborazione con periodici umoristici come il Marc’Aurelio, Il Tascabile di Zavattini, ma anche con Omnibus di Leo Longanesi, inizia nel 1948. La collaborazione radiofonica con l’EIAR, la futura RAI, gli apre le porte della nascente televisione (1954): fra gli spettacoli di varietà da lui firmati ricordiamo, a parte L’uomo di mezza età che lo rese popolare al grande pubblico televisivo (ce lo ricordiamo come il signore con cappotto, cappello, occhiali, baffi e bastone, che passeggia con eleganza per la strada), Ti conosco mascherina, L’amico del giaguaro, Bambole non c’è una lira, Speciale Mina, e due edizioni di Canzonissima (1968 e 1972). A Marcello Marchesi viene attribuito il lancio, fra gli altri, di personaggi come Mario Riva, Mike Buongiorno, Domenico Modugno, Sandra Mondaini, Gino Bramieri, Walter Chiari. Marcello Marchesi è stato anche autore di canzoni famose come Bellezze in bicicletta (1951) e Ho soffrito per te, un successo della ditta Cochi, Renato ed Enzo Jannacci.
La pubblicità è un altro ambito dove produsse molti slogan per caroselli (oltre 4.000), tanto da fregiarsi dell’appellativo di “primo copywriter italiano”. Quante volte abbiamo ripetuto o sentito frasi come “Il brandy che crea un’atmosfera” (per l’amaro Vecchia Romagna), “Basta la parola” (per Falqui, testimonial Tino Scotti), “Il signore sì che se ne intende”, “Con quella bocca può dire quello che vuole” (Chlorodon, con Virna Lisi). E si potrebbe continuare con le citazioni. Tutti i copywriter sono, volenti o nolenti, figli o nipoti ideali di Marchesi. Un’azienda, la Chatillon, disegnò addirittura il suo logo sull’immagine stilizzata di Marcello Marchesi, realizzando una serie di pupazzetti a lui somiglianti.
L’umorismo come inventiva linguistica
Marcello Marchesi è stato anche l’autore di molte totoate: “la donna è mobile e io mi sento tanto mobiliere” ricorda uno dei 100 neoproverbi di Marchesi: “La donna è mobile, l’uomo è falegname”. Tra le pellicole frutto della collaborazione tra Marcello Marchesi e Vittorio Metz (e dirette da Mario Mattoli) ricordiamo I due orfanelli (1947), Fifa e arena e Totò al giro d’Italia (1948), Totò Tarzan e Totò Sceicco (1950), ma anche Totò cerca casa (1949, regia di Steno e Mario Monicelli), Totò le Mokò (1949, C.L. Bragaglia), 47 morto che parla (1950, sempre di Bragaglia), L’imperatore di Capri (1949, Luigi Comencini), Sette ore di guai (la prima regia di Marcello Marchesi, insieme con Vittorio Metz, 1951), e Totò lascia o raddoppia? (1956, regia di Camillo Mastrocinque). Un altro dei neoproverbi di Marchesi (“ogni rovescio ha la sua medaglia”), ci riporta al totoesco “ogni limite ha una pazienza”. “Mal costume, mezzo gaudio” (in Sua Eccellenza si fermò a mangiare, con Totò e Ugo Tognazzi) fa il paio con “Mal costume, grande gaudio” di Marchesi. L’umorismo e il comico nascono infatti anche da un processo di distorsione del linguaggio e della grammatica, da un’attitudine per il verbo-liberismo e l’onomaturgia. Che non è esclusiva degli scrittori umoristi. Potremmo dire da Folengo a Marinetti e ai futuristi (che fra l’altro amavano Petrolini), per tacere dell’inventiva di Carlo Emilio Gadda in materia di epiteti e soprannomi distorti in nuovi-frizzanti pun (si legga il bellissimo L’ingegnere in blu di Alberto Arbasino); ma anche Gabriele D’Annunzio poteva diventare un bell’esempio di raffinato freddurista: fu il Vate ad affibbiare a Marinetti la definizione icastica ed esilarante di “cretino fosforescente”. O anche “Un cretino con qualche lampo d’imbecillità”. Una battuta che anticipa molto il gusto di un Ennio Flaiano e di un Marcello Marchesi.
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