Fra tutte le utopie, ancora irrealizzate e irrealizzabili, della scienza, la più affascinante rimane il viaggio nel tempo. Il primo a immaginarlo nella letteratura moderna fu lo scrittore inglese H.G. Wells (1866-1946) che, insieme a Jules Verne e Hugo Gernsback (inventore del termine science fiction), è fra i più grandi anticipatori del genere fantascientifico. The Time Machine (La macchina del tempo) fu pubblicato nel 1895 dall’editore Heinemann dopo essere uscito a puntate sulla New Review. Inaugurò una serie fortunata di romanzi scientifici (science fiction) da L’Isola del Dottor Moreau a La Guerra dei Mondi, L’uomo invisibile e Il risveglio del dormiente che lanciò H.G. Wells nell’empireo degli scrittori visionari e iconici del XIX secolo. Da questo libro seminale furono tratti alcuni film, il primo dei quali è L’uomo che visse nel futuro del 1960, diretto da George Pal, con Rod Taylor nella parte dello stesso H.G. Wells. Nel 2002 ne è stato realizzato un remake diretto da Simon Wells, con Jeremy Irons e Guy Pearce. Pellicole come Ritorno al futuro (1985) di Robert Zemeckis, con Michael J. Fox e Christopher Lloyd (nella parte dello scienziato soprannominato Doc), primo di una famosa trilogia, sono tutte figlie e nipoti del romanzo e della fantasia wellsiana.
Tra il romanzo di Wells e la pellicola del 1960 ci sono alcune differenze. Per esempio, nel romanzo, lo scienziato inventore della macchina che percorre il futuro è definito “Il Viaggiatore del Tempo”. Nel film lo scienziato si chiama George, ha inventato, come Il Viaggiatore del Tempo, una macchina che permette di visitare le due dimensioni spazio-temporali della storia, il passato e il futuro. Sia nel romanzo sia nel film l’inventore mostra ad alcuni colleghi il marchingegno, ma suscita la stessa perplessità o incredulità con la quale giudicheremmo oggi un sognatore un po’ matto.
Nel libro, Il Viaggiatore del Tempo va direttamente nell’anno 802.701 (ma in seguito si spingerà anche più avanti, fino a vedere la fine del mondo con il collasso del Sole). Nel film fa alcuni “scali” intermedi: nel 1917, dove apprende dal figlio ormai adulto di un suo amico, che è imminente lo scoppio della prima guerra mondiale; riprende il viaggio, altra fermata: il 19 giugno 1940, altra guerra mondiale; successiva sosta il 18 agosto 1966 e anche qui George si trova nel mezzo di un conflitto atomico: fa appena in tempo a raggiungere la sua macchina del tempo per evitare di essere incenerito dalla bomba nucleare; finalmente arriva all’ultima tappa: l’anno 802.701, precisamente al 12 ottobre. Qui approda in quello che, sulle prime, appare un eden rispetto a tutta la storia umana precedente. Uomini e donne, giovani, sani, bellissimi, trascorrono il tempo in pace, tra svaghi, discorsi, in mezzo a una natura benigna e sorridente. Si chiamano Eloi. Fra questi fortunati esseri umani c’è una ragazza, Weena, che lo scienziato conosce dopo averla salvata dall’acqua di un fiume nel quale stava annegando, senza che nessuno degli Eloi intervenisse. Gli Eloi sono infatti caratterizzati da una forma congenita di apatia. George si innamora di Weena. Nel romanzo pensa addirittura di portarla con sé, una volta ritrovata la macchina del tempo, sottrattagli furtivamente dai Morlock, esseri sub-umani che vivono sottoterra, ed escono dai loro anfratti solo per rifornirsi di cibo: e sono proprio gli Eloi ad essere le loro prede. Lo scienziato non riuscirà a salvare Weena: la ragazza morirà in un incendio, provocato da lui stesso nel tentativo di sfuggire all’accerchiamento degli antropofagi “dagli occhi di bragia”.
Questo viaggiatore del tempo apprende la storia dell’umanità da strani supporti audio chiamati “anelli parlanti”: due fazioni, l’est e l’ovest (non sfugga l’allusione ai blocchi contrapposti, comunismo e capitalismo) si sono combattute per 326 anni. Un gruppo di sopravvissuti decise di rifugiarsi sottoterra. Questi abitatori del Sottomondo, con l’avanzare del tempo e il probabile esaurirsi delle risorse alimentari, diventarono i terribili Morlock: mostruose creature di sembianza più grottescamente scimmiesca che umana, con gli occhi fosforescenti (vivevano da generazioni nel buio), antropofagi che si nutrono degli indifesi e pacifici Eloi. Nel romanzo, rispetto alla versione cinematografica, l’origine della divisione tra abitatori sotterranei (Morlock) e umanità che vive spensierata in superficie, non è esplicitamente attribuita a un conflitto.
“Mi faceva male pensare a quanto fugace fosse stato il sogno dell’intelletto umano. Si era dato volontariamente la morte; si era proiettato dritto verso l’agio e il benessere, verso una società armoniosa le cui parole d’ordine erano sicurezza e stabilità, una società che aveva realizzato le proprie speranze…per ridursi alla fine a questo. Un tempo la vita e la proprietà dovevano aver raggiunto una condizione di sicurezza quasi assoluta: ai ricchi erano stati garantiti prosperità e benessere; ai lavoratori vita e lavoro. Senz’alcun dubbio in quel mondo perfetto non c’erano problemi di disoccupazione, nessuna istanza sociale da risolvere. Ne era seguita una grande quiete. (…) In questo modo – per come la vedo io – l’uomo del Sopramondo era scivolato verso questa languorosa inettitudine, e il Sottomondo verso la meccanica laboriosità. (…) Con il passare del tempo l’alimentazione del Sottomondo, in qualunque modo avvenisse, si era diversificata. Madre Necessità, messa da parte per qualche migliaio di anni, si era ripresentata, a cominciare dal sottosuolo. Con ogni probabilità, giacché il Sottomondo era sempre rimasto in contatto con i macchinari che, per quanto perfetti, richiedevano una serie di piccole attenzioni, oltre ai quotidiani lavori di manutenzione, aveva conservato, per forza di cose, un maggior spirito d’iniziativa – ma una quantità minore di altri tratti umani – rispetto agli abitanti del Sopramondo. E quando tutte le altre varietà di carne erano venute a mancare, allora avevano cominciato ad attingere a risorse fino a quel momento proibite dall’antica consuetudine”.
La macchina del Tempo di H.G. Wells ha un valore più di natura futuristica/profetica che strettamente scientifica. Nel romanzo (e nel film) non viene spiegato esattamente come il Viaggiatore del Tempo arrivi, nello specifico, a costruire la sua macchina. Il romanzo di Wells deve molto alla letteratura razionale e satirica inglese rappresentata, per esempio, da Jonathan Swift e Daniel Defoe, e all’Illuminismo francese; a partire da un dettaglio sulle prime banale: il protagonista della Macchina del tempo trova, all’interno del Palazzo di Porcellana Verde, un vecchio museo di paleontologia ormai abbandonato, una scatola di fiammiferi, unica arma valida contro i Morlock che sono fotosensibili. Ci ricorda il giovane Robinson Crusoe che, nel disperato tentativo di sopravvivere dopo il naufragio, recupera dal relitto della nave oggetti e strumenti di lavoro per ricreare sull’isola una sorta di vita modellata su quella inglese. E il salvataggio di Weena da parte dello scienziato può trovare un’analogia con un altro tipo di nativo del luogo, quel Venerdì che Robinson Crusoe salva da un gruppo di cannibali. Per questi e altri raffronti rimando alla postfazione di Mirko Esposito nell’edizione feltrinelliana (2023) del romanzo.
L’opposizione tra abitatori reietti e prigionieri di un mondo ipogeo, e felici residenti nella vita esterna, naturale, luminosa, si ritroverà in Metropolis di Fritz Lang (1927), il primo film di fantascienza, ambientato in un futuro distopico che corrisponde al 2026: una élite di industriali relega la classe proletaria e lavoratrice nel sottosuolo, costretta a lavorare per mantenere il sistema di vita dei privilegiati. Possiamo quindi considerare La macchina del tempo, più che un romanzo scientifico in senso stretto, anche, e soprattutto, il racconto di una visione distopica sul futuro dell’umanità.
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