Nell’entusiasmo travolgente del boom economico, nello scintillio di un improvviso diluvio di benessere rovesciato addosso a un paese fino a un attimo prima rurale e contadino, agli intellettuali, almeno ad alcuni di essi, toccò il ruolo, come già in altri tempi, come quelli della seconda rivoluzione industriale, di evidenziare le contraddizioni e le mille zone d’ombra che di lì a poco sarebbero esplose nella più virulenta delle maniere, ma che nel pieno del cosiddetto “miracolo”, tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, in pochi, pochissimi, accecati di dolce vita e crescita che pareva inesauribile, riuscivano a vedere. Parliamo, in alcuni casi, di voci a dir poco monumentali, come quella, ad esempio, di Pier Paolo Pasolini. Altre volte tuttavia, artisti pur illustri rimasero nell’ombra, risucchiati da un cicaleccio assordante che non seppe, o meglio non volle, coglierne la grandezza. 

Il caso più clamoroso è senza dubbio quello di Luciano Bianciardi, intellettuale atipico e “disorganico” (in tempi in cui l’organicità era pressoché un dovere), geneticamente anarchico, la cui opera gronda rabbia e ribellione verso l’establishment culturale, facendosi portavoce feroce delle durissime condizioni operaie e sottoproletarie in un’Italia che, nonostante il boom, continuava a sanguinare, ferita e senza diritti. 

La Stazione Centrale di Milano durante il boom

In particolare, il giovane Bianciardi fu vicino alla condizione dei minatori del paesino di Ribolla, nel grossetano, sua terra natale. A loro dedicò una celebre inchiesta insieme a Carlo Cassola pubblicata da Laterza nel 1956. Fulcro dell’inchiesta, un tragico incidente sul lavoro che costò la vita a ben 43 minatori. 

Nello stesso anno Bianciardi si trasferì a Milano, dove contribuì alla nascita della casa editrice Feltrinelli. Il suo massimo capolavoro, il romanzo La vita agra, pubblicato nel 1962 (qui il nostro precedente articolo di approfondimento), prende spunto proprio dalla tragedia di Ribolla, e narra di un bibliotecario, Luciano Bianchi, che dopo essere stato licenziato dai padroni della miniera presso cui lavora come bibliotecario, decide di vendicarsi. Si trasferisce perciò a Milano per far saltare con la dinamite la sede centrale della società. Arrivato in città incontra Anna, giovane militante di sinistra, e se ne innamora, iniziando con lei una relazione extraconiugale. La vendetta tarda a compiersi, sopravanzata nella scala delle priorità dai bisogni privati. Per sopravvivere nella metropoli Luciano cerca lavoro, e dopo aver lavorato come traduttore in una casa editrice, mette a frutto la sua indole di creativo e inizia una inarrestabile scalata nel neonato settore dell’ideazione degli spot pubblicitari, fino addirittura a farsi assumere dall’impresa che lo aveva licenziato. Chiusa la storia clandestina con Anna e tornato nel tetto coniugale, le vecchie smanie di rivolta spariscono completamente nella totale integrazione dell’ex rivoluzionario nei meccanismi della nuova società consumistica e individualistica. 

Luciano Bianciardi e Ugo Tognazzi

Due anni dopo la pubblicazione del libro, che all’epoca conobbe un grande successo, Lizzani decise di farne un film, affidando la parte del protagonista a Ugo Tognazzi. Fedelissimo al romanzo fino a sfiorare il rigore filologico nella dinamica narrativa, il film di Lizzani nelle intenzioni generali mette in secondo piano tanto la dimensione tragica quanto, soprattutto, quella smaccatamente politica, cruciale in Bianciardi, a favore del lato “eroicomico” e grottesco del protagonista, che visto dalla lente deformata e deformante di Lizzani assume quasi le fattezze di un antieroe pirandelliano. 

La scelta, smorzando la carica eversiva propria della splendida e ferocissima penna bianciardiana, quasi banalizza l’affresco di critica sociale che trasuda a ogni frase del romanzo, ma si riscatta riuscendo a mettere in scena un’irresistibile satira dei miti della modernità: la pubblicità, i computer, il video. 
Irresistibile e straordinariamente in anticipo sui tempi. Così come straordinari sono alcuni momenti (il cammeo di Enzo Jannacci, lo scontro tra operai e sociologi all’uscita della fabbrica) e, soprattutto, il personaggio di Anna interpretato da una meravigliosa Giovanna Ralli, capace di tratteggiare un personaggio che, prima del femminismo, costringe a porre in primo piano l’urgenza e la necessità di emancipazione, indipendenza e parità dei generi.

Due opere, libro e film, capaci di spalancarci un ritratto spietato della dinamica del lavoro della nostra società all’alba del liberismo. Quasi un saggio, desolato e illuminante, sull’origine e sul perché della situazione attuale, dell’individualismo esasperato, della globalizzazione più efferata. 
Due opere, libro e film, ingiustamente precipitate nel dimenticatoio. 
Quale occasione migliore del primo maggio per riscoprirle?

Carlo Lizzani e Giovanna Ralli sul set

Autore

Una risposta a “Una pellicola per il primo maggio – “La vita agra” dal romanzo di Bianciardi al film di Lizzani”

  1. Avatar Nadia Chiaverini
    Nadia Chiaverini

    La vita agra di un anarchico , biografia di Luciano Bianciardi scritta da Pino Corrias, comprato anni anni fa alla stazione di Roma , mi ha fatto conoscere Bianciardi , antieroe maremmano e maschilista che negli anni del boom economico emigra a Milano, lavora alla Feltrinelli , scrive libri porno per campare , inquieto e geniale, in conflitto con se stesso e gli altri .

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Trending