Una delle più belle immagini rielaborate, in modo come sempre innovativo e originale, dalla fantasia di Dante è quella della pantera, l’animale di cui “si avverte il profumo in ogni luogo, ma in nessun luogo appare”.1 La pantera dantesca è metafora di un’ideale lingua italiana, comune a tutti i cittadini della penisola; una lingua che, pur non appartenendo a uno specifico luogo, ogni italiano senta come sua2. Nell’immaginario medievale la pantera emanava un odore squisito, “odor suavis super omnia aromata” come scrive il Physiologus latinus3. “Quando ruggiva emetteva odori soavi e di intensa dolcezza /perché né balsamo né incenso né spezie fragranti / profumano così di buono come il suo fiato” (Bestiario di Gervaise4). Per Dante esisteva un “volgare” (cioè una lingua italiana) ideale, da ricercare nella selva dei tanti volgari comunali, proprio come la pantera il cui aroma si avvertiva ovunque, ma non faceva tana in nessuna città. 

L’olfatto rappresenta la seconda delle cinque parti di cui si compone il Giardino dei Piaceri descritto da Giambattista Marino nel suo sterminato poema Adone5. Leggendo l’antologia (un must) dei lirici marinisti di Giovanni Getto o altri brani antologici dell’Adone del Marino, ci si accorge che questi poeti sono tanto bravi e fantasiosi nelle loro variazioni su oggetti e temi come orologi, donne, lucciole, giardini, e altri ordigni, quanto convenzionali o approssimativi nella descrizione dei profumi. Il celebre elogio della Rosa nell’Adone rivela un virtuosismo più visivo che olfattivo.

“Sotto il sole giaguaro”

L’epoca barocca ritrova una sensibilità olfattiva che anticipa per molti versi la maniacale attenzione degli scrittori decadenti per tutto ciò che è lusso e raffinatezza: un campo dove il profumo diventa teatro di esperienze e descrizioni per riprodurre le quali uno scrittore di oggi dovrebbe trascorrere settimane di studio su appositi manuali. Fra le raffinatezze del Seicento vi fu, infatti, una vera e propria frenesia per i profumi: in molti cercavano di fabbricare personalmente nuove essenze. Lorenzo Magalotti, nato nel 1637, fu uno degli arbitri di questo gusto: fra l’altro diffuse in Italia la moda dei buccheri, vasi fatti di speciali terre odorose che riempiti d’acqua emettevano un gradevole profumo. Egli ebbe un gusto raffinato e voluttuoso degli odori, l’esperienza olfattiva diventava per lui quasi una sublimazione dei sensi: nei suoi giochi metaforici, la terra primitiva diventa, per esempio, un enorme bucchero che, al primo contatto con l’acqua effonde una sinfonia dolcissima di esalazioni e profumi.  

Giovan Battista Marino

A proposito di barocco, la riscoperta sensuale della realtà è uno degli aspetti che rendono la cultura barocca più attuale e vicina a certi sviluppi della letteratura contemporanea. Appartengono infatti all’epoca barocca i numerosi letterati che convertono il fascino scopritore dei cinque sensi nel fervore analogico di una scrittura audace e tecnica nello stesso tempo. Un esteta ante litteram come lo scienziato Lorenzo Magalotti prova nella contemplazione odorosa dei buccheri lo stesso piacere olfattivo al quale si abbandona Des Esseintes, il protagonista di A Rebours di Huysmans, che si compiace nell’assaporare combinazioni di profumi ed esotiche essenze floreali crogiolandosi nelle cangianti atmosfere evaporate dal concentrarsi olfattivo di odori che egli crea e armonizza nel suo boudoir. Antico, dunque, il fascino che ispira un’opera postuma di Italo Calvino, i tre racconti di Sotto il sole giaguaro: in essi Calvino ha assecondato il desiderio di far scaturire l’invenzione letteraria proprio dal connubio tra percezione e intelletto. Olfatto, gusto, udito, non vengono colti solo nella loro funzione di organi sensori  che divengono il fulcro di tutta una tensione psicologica. Nel primo racconto un odore che non si riesce a classificare diventa l’immagine olfattiva di una donna conosciuta a un ballo in maschera: una particella profumata del suo corpo permea la memoria del protagonista, assumendo la pregnanza riassuntiva di un’inconfondibile firma percettiva della donna ricercata. Anche nel secondo racconto la cornice religiosa del luogo e la bulimia della coppia Olivia-scrittore finiscono per convergere in un binomio simbolico il cui sviluppo culmina nello scioglimento del racconto: l’omofagia dei sacrifici umani, celebrati anticamente in quei templi, getta la sua ombra nella golosa delibazione culinaria della coppia, come se nel mangiare i due coniugi trasferissero un latente desiderio di possessione fisica, di fusione erotica. Nel terzo racconto l’udito diviene una sorta di condotto comunicativo tra il palazzo reale, immerso in un silenzio che dà risalto a ogni altro rumore, e l’esterno, rappresentato dalla città dalla quale provengono in lontananza minacciosi segni di rivolte. 

Le raffinate partiture odorose di À Rebours

Dei cinque sensi l’olfatto rappresenta per la letteratura una sfida espressiva fra le più ardue. Se Dante è un poeta fortemente visivo e uditivo, anche se la sua metafora della lingua come pantera è già audace per quei tempi, gli scrittori decadenti sono fortemente attratti dal sensismo anche senza finalità simboliche o allusive come invece sarà per Marcel Proust per il quale un biscotto intinto nel latte non è solo un fatto da descrivere minuziosamente, ma l’attacco per una sinfonia rievocativa del passato.

Joris-Karl Huysmans

Il decimo capitolo di A Rebours di Joris-Karl Huysmans rappresenta una delle partiture più raffinate, un tributo fantasioso, quanto tecnicamente preciso, della letteratura alla scienza dei profumi. Des Esseintes possiede la collezione di tutti i prodotti usati dai profumieri: seduto nel suo salottino si dedica alla creazione di nuove combinazioni odorose. Con i suoi vaporizzatori spruzza nella stanza un’essenza di ambrosia, di lavanda di Mitcham, di pisello odoroso, di estratto di prato fiorito sul quale introduce una fusione di tuberosa, di fior d’arancio e di mandorla: “e subito nacquero lillà artificiali mentre si agitavano tigli versando a terra le loro pallide emanazioni imitate dall’estratto di tilia di Londra”. Non è finita. Aggiunge una pioggia di essenza umane e quasi feline che sanno di donna e annunciano una femminilità incipriata e dipinta: lo stephanotis, l’ayapana, l’opopanax, lo sciampaka, il sarcanto a cui affianca una vena di seringa per mettere nella vita artificiale del trucco, da loro emanata, un fiore naturale di risa sudate, di gioie godute in pieno sole. Non pago di queste combinazioni, Des Esseintes scalda una zolletta di stirace dalla quale scaturisce un odore a un tempo ripugnante e squisito “che ricorda insieme il delizioso profumo della giunchiglia e l’immondo lezzo della guttaperca e dell’olio di catrame”. E poi scatena l’orchestra: vuota tutti i suoi vaporizzatori, profonde i suoi spiriti concentrati, lascia la briglia a tutti i suoi balsami, in un orgasmo sinfonico dell’olfatto che riunisce i pimenti dei tropici, i soffi pepati del sandalo della Cina e dell’ediosmiadella Giamaica, gli odori francesi del gelsomino, del biancospino e della verbena. Per giungere a questo grado di competenza il protagonista del romanzo confessa di aver dovuto studiare la grammatica e la sintassi dei profumi, imparare bene le regole che li dirigono, per poi paragonare le opere dei maestri, gli Atkinson, e i Lubin, i Chardin e i Violet, i Legrand e i Piesse, analizzare le costruzioni delle loro frasi odorose, pesare la proporzione delle loro parole (le singole componenti di un profumo o di un’essenza) e la struttura dei periodi (le combinazioni di più odori).

Anche Dorian Gray è un emulo di Des Esseintes. Come il protagonista di A Rebours, il raffinato dandy creato da Oscar Wilde “volle studiare i profumi e i segreti della loro fabbricazione, distillando oli fragranti e bruciando resine odorose provenienti dall’Oriente. Si accorse che ad ogni stato d’animo corrispondeva una vita dei sensi e tentò di scoprire  i loro veri legami, domandandosi perché l’incenso renda mistici e l’ambra ecciti le passioni, le violette ridestino il ricordo di amori finiti, il muschio turbi il cervello e la magnolia colori l’immaginazione. E cercò di elaborare una reale psicologia dei profumi e di misurare le diverse influenze delle radici odorose e dei fiori ricchi di polline, dei balsami aromatici, dei legni neri e fragranti, dello spiganardo che ammala, dell’ovenia che fa impazzire, dell’aloe che, come si dice, “libera l’anima dalla malinconia”. 

Una scena del film di Ben Whishaw, Profumo – Storia di un assassino

Il linguaggio umano è inadeguato a descrivere gli odori. Lo dice Patrick Süskind, autore di Profumo, storia noir con protagonista Jean Baptiste Grenouille, un Mozart dell’olfatto, in grado di riconoscere i mille odori di Parigi, rozzo e raffinato nello stesso tempo, capace di trasformarsi in serial killer per ottenere dalle ragazze uccise l’essenza indescrivibile del loro profumo: un collezionista di odori sublimi, quelli che emanano dal corpo di queste fanciulle, sensazioni aromatiche che Grenouille, proprio come un artista, non lascerà evaporare nell’aria, ma trasformerà in altrettante essenze. Questi distillati odorosi di donna saranno la causa della sua morte: il genio assassino darà la stura a tutti i flaconi liberando e riversando l’irresistibile bellezza aromatica di quei profumi, così seducente che un branco di coatti lo assalirà per impossessarsi del suo corpo, facendone strazio. All’inizio del romanzo, si sviluppa un breve dialogo, molto importante per capire l’inadeguatezza del linguaggio verbale di fronte alle sensazioni olfattive. L’abate Terrier, irritato dal fatto che la balia aveva notato l’assenza totale di ogni odore sul corpo del piccolo Grenouille, le domanda che cosa significa un odore buono:  “Tante cose hanno un odore buono” – precisa arrabbiato Terrier – “Un mazzolino di lavanda ha un buon odore, il lesso ha un buon odore. I giardini d’Arabia hanno un buon odore. Che odore ha un lattante, voglio sapere!” “Dunque, cominciò la balia, non è molto facile dirlo, perché…non hanno lo stesso odore, padre, capisce, prendiamo i piedi per esempio, lì hanno un odore come di pietra calda liscia…no, piuttosto di ricotta…oppure di burro, di burro fresco, sì, proprio così, sanno di burro fresco. E i loro corpi hanno l’odore di…di una galletta quando è inzuppata nel latte. E la testa, in alto, dietro, dove i capelli  fanno la rosa, qui guardi, proprio qui hanno l’odore migliore. Qui hanno un odore di caramello, così dolce, così squisito”. E noi potremmo aggiungere che anche le pagine di un libro, che varia a seconda del tipo di carta, dell’età del volume, del modo e del luogo in cui è stato conservato, emanano un buon odore. Ma descriverlo in sé stesso o spiegare in sé stesse le sue infinite note è un’opera troppo difficile per il linguaggio umano. Spesso partiamo da un odore o da un profumo specifico per indicarne un altro che ha con questi caratteristiche simili: è quello che fa la balia con Terrier; non sapendo come rispondere alla domanda dell’abate (che cos’è un odore buono), richiama odori specifici associati alle parti del corpo del bambino. Così, per usare una delle più banali similitudini, diciamo che l’alito di una ragazza sa di mela…O proviamo a descrivere l’odore dell’erba appena tagliata: sarà più facile comunicare le sensazioni che ci provoca l’annusare l’erba falciata da poco. Di fronte ai suoni ci troviamo nello spazio sconfinato del paragone, ma se al profumo non si dà il nome esatto, finiamo per non uscire più dal banale recinto degli aggettivi come gradevole, buono, fragrante.

La somma degli odori 

Una soluzione originale viene dalla poesia di Marziale, il grande poeta latino degli epigrammi, che venne nella Roma imperiale dei Flavi da una piccola città della Spagna. Per evocare la fragranza dei baci di una fanciulla, Marziale attinge da una tavolozza di profumi che unisce alle note della mela le armonie più ricercate dei balsami venduti dai più famosi unguentarii; l’aroma naturale dello zafferano o del miele, gli effluvi che vengono dai vestiti di seta e i fumi d’incenso dagli altari, coesistono in un concerto di sensazioni olfattive che rappresentano nella finzione lirica il non plus ultra del buon odore, esempi e modelli di vere categorie estetiche per nasi raffinati.

Marco Valerio Marziale

Natura e artificio prestano al poeta i loro migliori profumi in un alternarsi e fondersi di percezioni olfattive, da quelli  semplici e quasi primordiali della terra – l’odore sprigionato dalle mele, dai grappoli d’uva, dallo zafferano, dalla terra bagnata di pioggia – alle note più elaborate come il profumo dell’incenso, del mirto, del nardo, o il gradevole effluvio emanato dalla sfera di ambra che le donne, camminando per strada, tenevano in mano per creare, con un leggero strofinio, il buon odore che doveva difenderle dai miasmi provenienti dai vicoli della Roma antica. Ecco allora che Erotion ha una bocca che sa di rose di Paestum, di miele dell’Attica, Erotion più tenera di una agnella tarantina, che vale più di una perla del mar Rosso, dell’avorio indiano, Erotion che ha i capelli più soffici delle lane andaluse. Questi termini di paragone servono al poeta per magnificare la bellezza della ragazza senza cadere nel banale, ricorrendo a oggetti e realtà che rappresentavano al suo tempo il massimo del lusso, del bello, del buono.

Fanciulla dal canto più dolce dell’ultimo canto dei cigni,
più tenera di un’agnella del Galeso tarantino,
più delicata di una conchiglia del lago Lucrino,
alla quale non si preferirebbe una perla del Mar Rosso
né l’avorio luccicante di un elefante indiano,
e nemmeno la prima neve o un giglio intatto;
lei che con i capelli ha vinto la lana delle pecore andaluse,
le trecce delle donne del Reno, la pelliccia dorata dei ghiri;
lei che aveva una bocca odorosa come un roseto di Paestum,
come il miele fresco dei favi cerosi dell’Attica,
come una goccia d’ambra presa con le mani;
lei che faceva apparire brutto un pavone,
antipatico uno scoiattolo, comune l’Araba Fenice6.


1 “redolentem ubique et necubi apparentem” (De Vulgari Eloquentia, I, XVI, 1)
2 “vulgare quod superius venabamur, quod in qualibet redolet civitate nec cubat in ulla”. (De Vulgari El. I, XVI, 5)
3 Si veda il “Fisiologo latino”, XXIV (De Panthera) nei Bestiari medievali, a cura di Luigina Morini, Einaudi, I millenni, 1996. 
4 ibidem, pagg. 299-300.
5 Nel canto VI, ottave 99-152 il Marino descrive le prime due Porte, quelle che conducono ai giardini della vista e dell’odorato. Il canto VII è dedicato ai piaceri dell’udito, cui seguono il gusto, e nel canto VIII i piaceri del tatto. 6Puella senibus dulcior mihi cycnis,
Agna galaesi mollior Phalantini,
Concha Lucrini delicatior stagni,
Cui nec lapillos praeferas Erythraeos,
Nec modo politum pecudis Indicae dentem
Nivesque primas liliumque non tactum;
Quae crine vicit Baetici gregis vellus
Rhenique nodos aureamque nitelam;
Fragravit ore, quod rosarium Paesti,
Quod Atticarum prima melle cerarum,
Quod sucinorum rapta de manu glaeba;
Cui conparatus indecens erat pavo,
Inamabilis sciurus et frequens Phoenix:
(…)
(Liber quintus, XXXVII)


Bibliografia di riferimento:
Daniela Ciani Forza e Simone Francescato (a cura di), Il profumo della letteratura, Skira, 2014
DanteDe Vulgari Eloquentia, a cura di Mirko Tavoni, Mondadori, 2017
Italo CalvinoSotto il sole giaguaro, Mondadori 2023
Patrick SüskindIl profumo, TEA, 2021
Giovan Battista MarinoAdone, a cura di Emilio Russo, Rizzoli Bur, 2022
Joris-Karl HuysmansControcorrente, Mondadori, 2021
Oscar WildeIl ritratto di Dorian Gray, Giunti, 2024
MarzialeEpigrammi, Utet, 2021
MarzialeEpigrammi, a cura di Simone Beta, Milano, Mondadori, 1995.

Autore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Trending