Come si svolge la giornata tipo di uno scrittore? (Se esiste una giornata tipo). Come scrive, cioè con quale metodo? Quali sono gli strumenti? Penna? Computer, macchina da scrivere? Dove lavora di preferenza? Perde l’ispirazione se si trova fuori dai suoi luoghi prediletti (di solito la propria camera: la casalinghitudine dello scrittore) o riesce a scrivere on-the-go cioè fra treni, taxi, viaggi in auto, uffici?

A queste (e altre) domande cerca di rispondere il volumetto di Francesco Piccolo, Scrivere è un tic, I metodi degli scrittori, appena uscito da Einaudi che in realtà ristampa lo stesso librino pubblicato trent’anni fa da minimux fax. Quando non era ancora uno scrittore, Francesco Piccolo ha catalogato le abitudini di lavoro (i tic, se vogliamo), di scrittori e scrittrici. “Mi ero assunto il compito, senza che nessuno me l’avesse chiesto, di svolgere un’indagine approfondita su come facessero questo mestiere tutti gli scrittori che incontravo sul mio cammino -tutti, nessuno escluso. Così, se leggevo un’intervista di uno scrittore, o delle pagine autobiografiche, o teoriche, le trascrivevo subito sui foglietti e accumulavo prove”. 

Perdere tempo è un atto creativo

Che esista o no l’ispirazione (il libro di Francesco Piccolo affronta anche questo tema), è un dato di fatto che ognuno ha il suo metodo di lavoro, le sue abitudini, i suoi tic. Ci sono scrittori che lavorano solo la mattina presto, altri (Alberto Moravia ero uno di questi) che seguono una disciplina oraria quasi da ufficio; altri ancora che scrivono ovunque anche quando non scrivono; di Henry Miller troviamo (nel capitolo “Perdere tempo”) questo brano: «su per gli Champs-Élysées le idee mi grondano come sudore. Vorrei essere ricco, da permettermi una segretaria a cui dettare passeggiando, perché i pensieri migliori mi vengono quando non sono alla macchina». Sì, perché Henry Miller, come tanti scrittori, componeva anche quando non era seduto alla scrivania. In molti casi anche perdere tempo “è cosa necessaria per chi scrive”: “uno scrittore deve saper perdere tempo, perché è necessario per la ricarica di energia, è necessario per pensare, o per non pensare più a un passaggio ossessivo. Scrivere è faticoso perché bisogna pensare molto, e se uno è sempre indaffarato non può farlo. Bisogna avere il coraggio di oziare. (..) Proust diceva che il lavoro e l’ozio sono due momenti della creazione”.

Ma quello dello scrittore è un vero mestiere? Secondo l’opinione diffusa, scrive Francesco Piccolo, “Nell’era della professionalità, quello dello scrittore non è considerato un mestiere. Perché lo può fare chiunque. Non c’è bisogno di imparare una tecnica preliminare. Chiunque può prendere un foglio e una penna, o mettersi davanti al computer, e scrivere un racconto; e considerarsi scrittore”. E Piccolo ricorda un aneddoto raccontato da Luís Sepulveda: un ufficiale di dogana a Quito gli chiedeva sempre la professione. Quando si sentiva rispondere “lo scrittore”, l’ufficiale ripeteva stizzito la domanda: “Le ho chiesto la professione”. 

Per comodità diciamo che scrivere di mestiere vuol dire non dover fare altri lavori per sostentarsi, fare della scrittura la principale attività. In realtà, ci si può considerare fortunati se si campa lavorando in una redazione di un giornale o facendo l’insegnante. Eugenio Montale, che era già un grande poeta del Novecento, fu assunto a cinquant’anni nella redazione del Corriere della Sera. Non tutti gli scrittori vivono o hanno, però, vissuto questa condizione in modo conflittuale; scrive Francesco Piccolo: “anche T.S. Eliot è favorevole all’altro lavoro. In un’intervista del 1958, alla domanda se sia augurabile per un poeta poter vivere senza lavorare, poter solo leggere e scrivere, il poeta risponde: «no, penso che sia…No, possiamo parlare solo di noi stessi. Io sono quasi sicuro che se fossi ricco, se non avessi avuto la seccatura di dover lavorare e mi fossi potuto dedicare solo alla poesia, mi sarei inaridito. A me è stato utile dover lavorare in una banca o in una casa editrice. Non aver troppo tempo a disposizione significa doversi concentrare di più. Nel mio caso il lavoro mi ha impedito di scrivere troppo». 

E nel Novecento non sono stati poi così pochi i grandi scrittori che hanno fatto o continuato a fare altre professioni. “In Italia, se in passato ci sono stati esempi importanti ma rari (l’ingegnere Gadda, il chimico Primo Levi, il medico Tobino e Paolo Volponi dirigente d’azienda), in particolar modo nell’ultimo periodo, gli scrittori che hanno un altro lavoro, lontano dal mondo editoriale, sono tanti: Paolo Maurensig è rappresentante di computer, Giorgio Van Straten ha lavorato presso l’orchestra regionale toscana, Giulio Mozzi è stato fattorino di una libreria universitaria, Salvatore Mannuzzu è un giudice”.

Il capofila moderno di questa divergenza tra vocazione letteraria e carriera lavorativa è stato Italo Svevo che per tutta la vita fu impiegato in una ditta di vernici e sembra lo facesse abbastanza volentieri. Ma un pochino “soffriva: «perché in famiglia nessuno, almeno inizialmente, ha creduto nel suo talento letterario. È vero: papà era considerato uno scrittore della domenica. Almeno fino a quando mamma acconsentì ad ascoltare la lettura di Senilità. Allora anche lei capì il valore letterario di suo marito». 
Sono parole della figlia di Svevo, Letizia Fonda Savio.

I libri che trattano dello scrivere e della scrittura rappresentano un genere molto frequentato dagli editori, forse anche troppo se penso al folto sottobosco di manuali di scrittura creativa, in genere del tutto inutili come d’altronde i corsi di scrittura, che insegnano ai giovani aspiranti narratori o poeti tutto fuorché le cose fondamentali per diventare scrittori “di mestiere”. Ma la storia della letteratura ci insegna che si può essere grandi scrittori anche se si fanno altri mestieri L’esempio di Carlo Emilio Gadda sarebbe troppo scontato. Fare un lavoro normale permette allo scrittore maggiore autonomia e soprattutto di evitare un errore: scrivere troppo e male. 

Bisogna distinguere tra il romanziere/saggista e il poeta. Francesco Piccolo è un narratore quindi gli esempi da lui raccolti quand’era giovane si riferiscono in larga parte a romanzieri (ma non mancano importanti osservazioni di poeti come Eliot e Paul Valery). Se il romanzo, ma anche i racconti, richiedono necessariamente un metodo e una disciplina, se non altro per la lunghezza del prodotto, la poesia -a meno che uno non si dedichi alla composizione di un poema epico o di un romanzo in versi, come La camera da letto di Attilio Bertolucci o Omeros di Derek Walcott o l’Odissea di Nikos Kazantsakis- si può elaborare mentalmente e scriverla anche su foglietti volanti o provvisori appoggi cartacei durante viaggi e spostamenti. La poesia non richiede metodi che non siano intrinseci a e coincidenti con la forma che essa prende per volontà dell’autore. 

“Penna, macchina da scrivere, computer”

Se è vero che oggi sarebbe impossibile scrivere saggi, romanzi, articoli, racconti senza il computer, la penna (biro o stilografica non importa) e la carta di un taccuino o di un quaderno possono rimanere il primo supporto su cui scrivere (e riscrivere) le poesie. A me succede questo. Ed è molto interessante il capitolo “Penna, macchina da scrivere, computer”. La cosa interessante è che nella successione storica “penna, macchina da scrivere, computer” a uscire definitivamente di scena (come strumento operativo) è stata la seconda, anche perché il computer è stato vissuto, soprattutto dagli scrittori, come un’evoluzione -in genere migliorativa ma ci sono illustri eccezioni- della macchina da scrivere. Non c’è necessariamente dicotomia tra computer e penna. Si può scrivere ancora sulla carta, e ricopiare al computer; e la poesia aiuta molto a conservare l’antica e benefica abitudine del comporre a mano,  magari per non perdere definitivamente il fascino della calligrafia. 

La conclusione (provvisoria) di questo libretto è che l’ispirazione, da sola, non serve più. “Se volete scrivere, sappiate che c’è bisogno di metodo: sceglietene uno tra quelli che avete incontrato qui, o inventatelo. Fate come credete, ma sappiate che dovete dare alla scrittura uno spazio quotidiano, «e dovete stare seduti quando non viene in mente niente». Per il resto, perdete tempo, gironzolate per casa, fatevi sedurre dalla pigrizia. O tornate all’altro lavoro”. 

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