Tra il 1952 e il 1971, Luciano Bianciardi, lo scrittore grossetano trapiantato a Milano, autore di romanzi come La vita agra, scrisse articoli per un numero impressionante di riviste e giornali “come un marinaio che, pur di navigare, si imbarca su qualunque naviglio” per riprendere la similitudine di Michele Serra nella prefazione alla monumentale raccolta (Tutto sommatoscritti giornalistici 1952-1971, ExCogita, Milano, 2022) di tutti i “pezzi” di Bianciardi, tre volumoni di circa un migliaio di pagine l’uno più il salvifico maps dell’indice, vera bussola all’interno di questa felice e variegata foresta di parole. Vale la pena citare solo alcune di queste testate: La Gazzetta di LivornoBelfagorAvantiIl Contemporaneo, l’UnitàIl GiornoEpocaGraziaMarie ClaireLe OreKentABCPlaymenExecutiveL’EuropeoGuerin Sportivo, Il MondoMondo OperaioCorriere della SeraCorriere della MaremmaCorriere di RapalloCritica Sociale, Nuova CittàNuovi ArgomentiHistoriaLingua Nostra, L’OmbroneParagoneLetterature Moderne. Per la prima volta tutta la produzione giornalistica riunita in tre volumi più quello degli indici, 964 articoli distribuiti su 63 testate – presentati in ordine cronologico: il susseguirsi degli articoli restituisce al lettore una sorta di storia d’Italia vista dagli occhi di un personaggio che è stato definito anarchico, ribelle e inclassificabile. ma, per questo, attualissimo: come precisa Michele Serra, Bianciardi si espresse contro il familismo (“da noi, l’amore per la famiglia è la più stimata fra le virtù sociali, tanto che scarsa stima hanno sempre avuto fra noi quegli uomini che han sacrificato se stessi ed i propri cari per il bene di un più largo gruppo di loro simili”); contro la goliardia; contro la morale sessuale corrente (“non bisogna istituire il divorzio, ma abolire il matrimonio”); ovvero contro i cardini culturali dell’Italia tradizionale, cattolica e conservatrice.

È un’opera uscita in occasione del centenario della nascita di Luciano Bianciardi (1922), che fu, oltre che traduttore, scrittore e autore di libri cult come La vita agra, giornalista, seppure a suo modo. Sarebbe meglio dire: commentatore, editorialista, critico dei costumi e della società. Uno dei suoi primi libri, l’inchiesta sui minatori della Maremma, scritta con Carlo Cassola, è in effetti un lavoro giornalistico, prima ancora che letterario. Bianciardi ha lasciato in pochi anni una produzione vastissima, raccontando la storia dei costumi, della televisione, della politica, della letteratura, dell’arte, del cinema e dello sport. Come in un diario costruito giorno per giorno, lo sguardo di Bianciardi si sofferma con la stessa visione profetica sia sui grandi fatti internazionali sia sulle piccole vicende quotidiane, mostrando un lato inedito della personalità dell’autore che si discosta dalla narrazione mitologica che spesso lo accompagna. Come scrive Michele Serra nella prefazione, se nel grande mucchio del lavoro di Bianciardi non troverete mediocrità e sciatteria, è per una ragione soltanto: lui era uno scrittore “naturale”, lo era anche prima di pubblicare libri e di essere riconosciuto tale dalla società editoriale. Non sarebbe stato capace di scrivere una sola riga senza che le sue parole gli assomigliassero e gli appartenessero. 

Le Kessler e Mike Bongiorno 

Cominciando a spigolare, a girovagare qua e là, in questa sorta di enciclopedia della contemporaneità, passo dalle gemelle Kessler nell’articolo Dada-Umpa (18 gennaio 1962): “infine le gemelle bionde. Chi ha osservato bene, come ho fatto io, questi due splendidi fenicotteri, avrà notato, alla fine del numero iniziale, come esse richiamano le gambe sull’ultima sillaba della strofetta. È un riunire di tacchi netto e secco, che riproduce esattamente l’alt di un reparto tedesco in formazione di marcia”; e ritorno un pochino indietro, al primo volume, per leggere Mike, elogio della mediocrità ((28 luglio 1959, Avanti!) Luciano Bianciardi spiega le ragioni del successo di Mike prima di Umberto Eco con la sua Fenomenologia di Mike Bongiorno (1961) ora in Diario Minimo (Bompiani).

Si occupò da spettatore critico di televisione con la sua rubrica Telebianciardi. Anticipò -per esempio nell’articolo Cambriglione e borzacchino la questione dell’impoverimento della lingua italiana sempre meno precisa e sempre più banale, tema ripreso nel successivo dibattito intellettuale che coinvolse riviste come Il Menabò e Rinascita e sul quale rimando al breve ma sempre necessario saggio L’antilingua di Italo Calvino (ora in Una pietra sopra). In “Mike, elogio della mediocrità” scrive: «Era certamente il più simpatico dei presentatori della televisione: migliore di Mario Riva (troppo ancorato al volemose bene romanesco, e non italiano, quindi dialettale e provinciale), migliore di Enzo Tortora (troppo goliardicamente “colto”), migliore di Silvio Noto (che si bruciò le ali spingendo troppo oltre la sua grevezza pugliese). I nostri presentatori della televisione avevano successo, e lo hanno, in quanto riassumono ed esprimono certi difetti, certe tare nazionali. Mike Bongiorno ne riassumeva più di tutti, ed ecco perché lo possiamo stimare il più mediocre, quindi il più bravo»

Cambriglione e borzacchino

Tornando a Cambriglione e borzacchino, Bianciardi racconta: «Constatava rammaricato un amico mio l’altra sera che la lingua italiana va scomparendo. O più precisamente, che a un italiano letterario ricco nel lessico e nei modi sintattici (ma anche greve, poco mobile) si va giustapponendo un italiano parlato, poverissimo, impreciso, “basico”. Dava la colpa ai mezzi di comunicazione; radio, stampa, canali burocratici, pubblicità. Ma la colpa maggiore è nella pigrizia, nel falso bisogno di modernità, nella passiva accettazione di ogni modo di esprimersi “nuovo”».  È questo l’attacco di un articolo del 1962 uscito sull’Avanti nella rubrica Telebianciardi che è comparsa su diverse testate dal 1962 al 1971. Prosegue con un commento a una gara di Campanile Sera dove due squadre, una sarda e una veneta, si fronteggiavano per definire parole italiane desuete o insolite, fra le quali, appunto cambriglione (“l’anima della scarpa, interna al fiosso”), rapazzuola (“il rustico giaciglio del pastore, del carbonaio”), borzacchino (“stivaletto femminile alto a mezza gamba”). E a proposito di questa passione o mania per le parole auliche, desuete, Bianciardi aggiunge, richiamando in causa il mitico Mike: «E una volta tanto ha avuto ragione Mike Bongiorno, quando ha detto che suonerebbe per lo meno strano, in una cronaca sportiva, sentir chiamare “sommommolo” un colpo sotto il mento, dal basso in alto, un montante o uppercut come ormai generalmente si dice». 

Esilarante e istruttivo al contempo l’articolo Toscani a Milano (1959, sempre sull’Avanti) “In cinquecento anni ne sono arrivati su molti altri; soprattutto dalle parti di Lucca. I lucchesi vanno in giro a vendere, sempre”. E i ristoratori vengono da Chiesina Uzzanese e Altopascio, che distano l’uno dall’altro due chilometri e mezzo, la città più vicina è Montecatini. “I toscani, gente parsimoniosa (ora però basta e diciamolo chiaro: avari, taccagni peggio dei genovesi), lesinano in tutto, fanno a miccino anche col sentimento, e non legano, né con gli altri né fra di loro”. Sia ben chiaro: lo scrive Luciano Bianciardi, grossetano di origine. E non posso non concludere -provvisoriamente, tanta è la carne sul fuoco, l’opima messe di osservazioni in questa miniera di scritti- con un accenno a un famoso articolo su Milano, Rivoluzione a Milano (3 giugno 1956, l’Unità, Lo specchio degli altri, Torino) dove, a conclusone di un elogio della sobria e quasi svizzera disciplina dei milanesi, esorta il lettore a fornirgli “Mille uomini, dico, disposti a far all’amore la notte del lunedì, verso l’alba. Disposti a chiamarsi ad alta voce, da un marciapiede all’altro, a sostenere che duemilacinquecento lire son troppe, per un chilo di sedano. Disposti ad attraversare via Manzoni in canottiera, ad entrare in ditta con mezz’ora di ritardo, ad uscirne dopo l’orario. Datemi questi mille spericolati, e vi prometto che in mezza giornata la città sarà nostra: bloccata, congelata, esterrefatta, intasata, allibita come se dagli spazi celesti fossero calati i marziani”. 

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