Alcuni giorni fa rivedevo in televisione Borotalco (1982), uno dei film più divertenti (a mio modesto avviso) di Carlo Verdone. Di Borotalco mi è sempre piaciuta la scena di quando Verdone nei panni di Sergio Benvenuti (ingenuo e imbranato venditore porta a porta di musica) conosce Manuel Fantoni: un personaggio uscito da un romanzo picaresco, interpretato dall’attore Angelo Infanti (1939-2010), che con una loquela affabulatoria e fascinosa incanta Sergio in trasognato ascolto di tutte le panzane narrategli dal Fantoni: l’infanzia turbolenta con madre costretta dalla guerra anche alla prostituzione, il giro del mondo su un cargo battente bandiera liberiana, il rientro in Europa, il successo, la ricchezza con il classico corredo di conoscenze prestigiose: grandi attori e star della musica, da Richard Burton a Lucio Dalla. In realtà, Manuel Fantoni è a sua volta uno pseudonimo, un avatar di Cesare Cuticchia, e le foto dei divi appese ai muri del mega appartamento romano sono quelle che Fantoni si è portato dietro come ricordo della sua esperienza fallita di ristoratore. Insomma, Cuticchia-Manuel Fantoni è un divertente mix fra un ciarlatano, un truffatore e un mitomane; un Ulisse de’ noantri.
Carlo Verdone ha, fra gli altri, il merito di aver lanciato o rilanciato Angelo Infanti: un attore che trovo non valorizzato a dovere dall’industria del cinema di serie A (un altro esempio è Renzo Montagnani). Prima dei film di Verdone, Infanti aveva già un lungo curriculum di attore nei western all’italiana. Ma aveva recitato anche in Bello, onesto emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata (1971) di Luigi Zampa, e ne Il padrino (1972) di Francis Ford Coppola (nella parte di Fabrizio); e -molto più tardi, agli inizi del Duemila- farà il ruolo del burattinaio nel film Il punto rosso (2006), di Marco Carlucci, che narra la storia di un cabarettista alla Grillo, anarchico, europeista, che vuole sfidare la politica tradizionale (fra gli sceneggiatori anche Attilio Marangon). Troviamo Angelo Infanti anche fra i characters del film In viaggio con papà (1982) di Alberto Sordi: fa la parte di Gianni, uno scrittore di copioni per la tv, perennemente rifiutati, e amante della moglie di Armando D’Ambrosi (Alberto Sordi). In una scena con Carlo Verdone alias Cristiano D’Ambrosi, il figlio un po’ nerd un po’ ingenuo, dell’esuberante farfallone Armando, Gianni conclude una sua tiritera intellettualistica con un epilogo che suona più o meno così: “tanto se non sei ammanicato non vai da nessuna parte”.
L’immagine di Angelo Infanti ai tempi di Borotalco e, prima ancora, di Bianco Rosso e Verdone (1981), con barba, capelli neri e folti, sguardo da seduttore (ricordate i suoi tentativi di corteggiare la moglie del nevrotico Furio in Bianco Rosso Verdone?), avrebbe potuto secondo me renderlo adatto a recitare anche il ruolo dell’Ulisse protagonista dell’Odissea: in Borotalco, Infanti alias Manuel Fantoni, commenta, a corollario delle sue peripezie esistenziali (tutte inventate, ovviamente) “A me Ulisse mi fa una pippa”. Il collegamento -un po’ temerario ma non privo di plausibilità- tra Angelo Infanti e Ulisse mi porta, in virtù di una strana ma non illogica associazione di idee, all’Odissea di Franco Rossi (1968), la migliore versione televisiva del poema omerico: l’Angelo Infanti quarantenne che vediamo in Borotalco o Bianco Rosso e Verdone, poteva, secondo me, teoricamente proporsi come alter ego italiano o riserva dello straordinario Bekim Fehmiu, l’attore albanese che interpreta Ulisse così bene che quando penso al mitico Laerziade non posso che associarlo alla figura di Fehmiu. Il cast era perfetto: penso, per esempio, a Irene Papas nel ruolo di Penelope, a Barbara Bach in quello di Nausicaa, a Scilla Gabel come Elena, e Juliette Mayniel nella parte di Circe. Alla regia oltre Franco Rossi, Piero Schivazappa e Mario Bava che diresse l’episodio di Polifemo: ancora oggi ricordo la paura che provai quando -bambino- vidi quelle scene nella spelonca del Ciclope, per giunta in fascia di prime time, prima di andare a letto. E ogni puntata era introdotta dalla lettura di brani dell’Odissea da parte di Giuseppe Ungaretti.
L’Odissea di Franco Rossi mi riporta alla memoria l’Ulisse di Mario Camerini (1954) interpretato da Kirk Douglas, bravissimo, potente, muscolare e arrogante Ulisse, un po’ lontano dalla figura più sobria, normale e per questo ancor più convincente impersonata da Bekim Fehmiu. L’Ulisse di Camerini è stato uno dei film italiani più visti in tutta la storia del cinema nostrano (credo sia all’ottavo posto in assoluto). Ulisse è un eroe omerico, ma già molto moderno: reduce perseguitato dagli dèi dell’Olimpo, a partire da Nettuno (ma è protetto da Atena), deve affrontare prodigi e mostruosità della natura nel corso del suo periplo nel Mediterraneo. Deve resistere alla sensualità di donne e semidee come Calipso, Circe, Nausicaa, le Sirene. Sogna il ritorno in patria dalla sua Penelope, ma è affascinato dall’avventura e dalla conoscenza. L’Odissea è il prototipo letterario antico del cinema phantasy, e lo sceneggiato di Franco Rossi rimane magistralmente insuperabile così come magistralmente insuperabile resta il Pinocchio (1972) di Luigi Comencini: quando penso a Ulisse mi vedo Bekim Fehmiu, Angelo Infanti e Kirk Douglas. Quando ricordo Pinocchio, non riesco a concepire un mastro Geppetto migliore di Nino Manfredi e una fata turchina più affascinante di Gina Lollobrigida. È ovvio che Pinocchio e l’Odissea, come opere letterarie e contesti narrativi, hanno ben poco o niente, in comune se non il fatto -non irrilevante- di aver ispirato due fra i più grandi e insuperati sceneggiati televisivi. L’Odissea e Pinocchio sono sempre contemporanei come la Divina Commedia. Non dimentichiamo che Dante condanna Ulisse nella bolgia infernale dei consiglieri fraudolenti proprio per la sua ingannevole arte di persuasore (l’espediente del Cavallo; l’orazion picciola con la quale convince i compagni a seguirlo nell’ultima e fatale avventura nautica oltre le Colonne d’Ercole). Ulisse inventa e finge per sopravvivere o per necessità belliche. Cesare Cuticchia (Angelo Infanti) crea Manuel Fantoni come suo avatar per uscire dalla noia e dalla mediocrità della vita quotidiana. Dalla grandiosa epica greca reinterpretata dall’Odissea di Franco Rossi, con l’insuperabile Bekim Fehmiu nel ruolo di Ulisse, alle frottole più o meno innocenti (e simpatiche) di Manuel Fantoni. L’esistenza è fatta anche, se non soprattutto, di queste cadute continue dal sublime al comico, dall’eroismo alla parodia del mito: metafore della contemporaneità.
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